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Una società non può chiamarsi civile se lascia indietro i più deboli

Quando ero Questore della Provincia di Pesaro Urbino l’allora Amministrazione comunale di Pesaro varò un’interessante iniziativa. In alcune casette di un Borgo del Pesarese, Trebbiantico, grazie alla collaborazione con l’Associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, realizzò un’ospitalità per clochard durante il periodo invernale.

I volontari dell’Associazione, la sera, passavano con un pulmino per le strade di Pesaro e dintorni e i clochard, nelle notti invernali più rigide, salivano a bordo e venivano accompagnati a Trebbiantico, dove potevano trovare un rifugio e un centro di accoglienza per fare una doccia e mangiare, un luogo dove poter dormire e non morire di freddo. Non fu facile far comprendere ai clochard che non potevano dormire all’aperto o lungo le rive di un fiume, rischiando di morire assiderati. Il clochard ha fatto una scelta di vita difficile: una partenza senza ritorno dai propri affetti e dalle proprie sventure. Eppure ad un clochard basta una carezza per farlo contento e molti di loro hanno come unico amico un cane, per il quale rinunciano essi stessi anche a mangiare. Quando da Consigliere comunale in Ancona mi ribellai all’idea che si potesse togliere il cane ad un clochard avevo davanti ai miei occhi le serate passate con Don Aldo e quando ad un clochard veniva offerta una bevanda calda ed un po’ di dolce. Il clochard prendeva quel pezzetto di dolce, ma prima di mangiarlo lo divideva con il proprio cane. Quanto c’è da imparare in tema di generosità dalla povera gente! Nella mia vita ho frequentato sia ricchi che poveri. E ho capito che se vuoi apprezzare un gesto di bontà difficilmente lo potrai trovare tra coloro che possiedono beni e ricchezze!

A Trebbiantico mi recai una sera a parlare con i residenti. Erano preoccupati dal via vai che avrebbero dovuto subire con l’arrivo dei clochard. Don Aldo assicurò che quanti sarebbero stati accolti nelle casette sarebbero stati assistiti dai volontari anche durante la notte ed io che le Forze dell’Ordine si sarebbero impegnate per evitare disagi. Ricordo che un signore si disse preoccupato perché le casette erano attigue ad una scuola ed i bimbi sarebbero dovuti in qualche modo essere in contatto con i clochard. Assicurai che avrei predisposto pattuglie per la vigilanza e quella comunità di Trebbiantico ne avrebbe giovato perché avrebbe con frequenza visto, la sera, le volanti della Polizia o le pattuglie dei Carabinieri. L’esperimento ebbe inizio e fu un successo.

In quell’inverno non si registrarono morti lungo le sponde del fiume, così come era avvenuto l’anno prima e nessun clochard morì di freddo. Mi è stato riferito che i residenti di Trebbiantico quando le casette furono chiuse ebbero a lamentarsi. Avevano ormai adottato i clochard ed avevano capito che la povertà non è un virus.

In questi giorni ho letto: due clochard trovati morti a Roma, uno in Piazza Maggiore, non identificato, e un altro in Via Caterina Troiani a Spinaceto, a 41 anni. Morti di freddo. Nella capitale l’anno scorso sono morte 31 persone di freddo. Sono passati dieci anni dall’esperimento di Pesaro che dobbiamo soprattutto ad una Vice Sindaco di grande sensibilità ed intelligenza. Ma i clochard continuano a morire sulle strade d’Italia, all’aperto, così come i poveri muoiono sulle strade in India. Dall’inizio dell’anno sono già 28 i clochard vittime dell’inverno.

Mentre si discute in Europa su quanti Leopard mandare a difendere i territori occupati dagli invasori, contro il “Generale inverno” cosa si sta facendo? Cosa si aspetta ad organizzare un Piano di Emergenza nazionale per combattere l’isolamento sociale? Certo, ci sono le associazioni umanitarie: tanti giovani e non più giovani animati dal desiderio di aiutare il prossimo, quel prossimo in cui qualcuno di loro vede il Volto di Gesù ed altri il volto di una umanità sofferente che provoca rimorso. Ma non basta andare per strada a portare bevande calde, sacchi a pelo, coperte e scarpe a gente che cammina scalza sulla neve.

Servono case di accoglienza e strutture organizzate. Serve un piano per l’accoglienza ed integrazione sociosanitaria, perché molte di queste persone che stanno sulla strada scappano da sofferenze ed hanno bisogno di aiuto per risolvere drammi personali terribili.

Certo, è facile non vedere nel passare veloce con la propria auto facendo rientro alla propria casa ben riscaldata, ma se si scende dall’auto, e ci si avvicina a questi nostri fratelli più poveri, ci si incontra con situazioni incredibili. Una società non può chiamarsi civile se lascia indietro i più deboli, gli ultimi. Io credo che i nostri politici oltre che pensare ai grandi temi che affliggono il mondo, le guerre, la fame, il clima e le grandi variazioni climatiche – che pure sono importanti – debbano guardare anche in basso: in quei luoghi ove entrano in pochi e trovare soluzioni giuridiche adatte a preservare la vita di ogni essere umano.

Il Parlamento Europeo ha approvato lo scorso 24 novembre una Risoluzione per affrontare il problema dei senzatetto, fortemente acuito dagli effetti della pandemia di Covid-19. Sono 4 milioni i senzatetto in Europa e le azioni individuate sono: rimuovere i fattori di rischio personali e strutturali, prevedere risorse economiche per garantire il diritto al domicilio e, infine, inclusione sociale e non solo accoglienza. Lo scenario del prossimo futuro non potrà che peggiorare, con gli effetti della disoccupazione che l’Europa ha previsto dopo la crisi pandemica che stiamo vivendo oltre alla guerra tra Ucraina e Russia che ha imposto agli Stati europei investimenti in armi anziché nel sociale. Chi non ha una casa difficilmente può avere una vita personale e familiare e godere di diritti umani fondamentali come il diritto all’assistenza sanitaria. Chi non ha residenza non può neanche avere un medico curante. Recentemente Papa Francesco è intervenuto e ha fatto somministrare dall’Elemosineria Apostolica il vaccino antinfluenzale ai senza tetto di Roma.

Come ha rilevato il Parlamento Europeo vivere sulla strada espone a frequenti reati di odio e violenza e l’esclusione sociale produce forme di ghettizzazione. Non si hanno direttive comunitarie a favore dei senza tetto. In molti degli Stati membri, il problema dell’esclusione abitativa non è regolamentato, in alcuni è addirittura criminalizzato. In prevalenza il problema è affrontato predisponendo l’accoglienza nei soli mesi invernali ed i servizi locali sono scarsamente coinvolti nella reintegrazione sociale di chi vive senza casa.

La Commissione europea si è data dieci obiettivi strategici per attuare i principi dell’Agenda, fra cui spicca l’impegno degli Stati a porre fine alla povertà estrema entro il 2030. La Commissione, il Consiglio e il Parlamento Europeo chiedono all’art. 19 agli Stati europei l’impegno a garantire assistenza e alloggio per i senzatetto. Mancano al 2030 sette anni. Quanti altri poveri dovranno ancora morire?

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