Se la forza è la grandezza fisica che dà origine al movimento, la fortezza è la resistenza spirituale agli impulsi esterni che distolgono l’uomo dal percorso prefissato ed in questo è virtù cardinale poiché orienta il cammino.
Se la prudenza, abbiamo visto, è l’accortezza nel muovere i passi, la fortezza è la determinazione nel rimanere sicuri sulle proprie certezze, con la capacità di mantenere la fermezza volitiva e decisionale contro le avversità senza distogliere lo sguardo morale fisso sul proprio obiettivo.
Non è l’audacia, che presuppone una dose di rischio ma è il coraggio di resistere alla paura per non allontanarsi dalla retta via, dalla giusta causa, dal bene da cui si è consapevolmente attratti. Non è la passione che incendia i sensi, non è il desiderio di riuscire nel proprio intento, non è la volontà cieca ed insensibile; la fortezza è la consapevolezza della propria condizione e del proprio posto nel mondo, accompagnata dalla ferma e sicura decisione di mantenere la posizione e procedere nel cammino tracciato. Non c’è forza esterna né interna che possa resistere e vincere la fortezza: se l’animo è forte la volontà è di ferro; si potrà spezzare, come nelle umane cose, ma non riesce a piegarsi.
Abbiamo scelto Calaf perché la fiaba di Gozzi, musicata da Puccini, narra di questo principe pronto a sfidare la morte per sciogliere il voto di castità di Turandot, assunto per vendicare la violenza subita dalla propria antenata: Forza umana non c’è che mi trattenga! Io seguo la mia sorte canta annunciando la sua volontà di sciogliere l’enigma posto dalla crudele principessa. La consapevolezza di vincere la sfida – perché il suo intento è quello di restituire alla vita la glaciale Turandot, chiusa nel suo odio vendicativo (no! Mai nessun mi avrà!) – sostiene la fortezza di Calaf, (no, principessa altera, ti voglio tutta ardente d’amore) che si manifesta nella sua potenza quando, vittorioso avendo risolti gli enigmi, le propone di scoprire il suo nome per rinunciare alla vittoria (dimmi il mio nome prima dell’alba e all’alba morirò) e, prima del suo trionfo avendo vinto anche questa sfida, si consegna alla principessa rivelandole egli stesso il suo nome, ma ella non lo svelerà, affidandosi alle sue braccia.
È certamente il trionfo dell’Amore, dal nome che la principessa pronuncia al popolo che le chiede il nome del principe, ma è quell’amore che Calaf è riuscito a vedere dietro lo schermo gelido di Turandot ed ha voluto, sfidando la paura e la morte, far apparire perché ne aveva intuito l’animo nobile: non ha avuto dubbi, non ha avuto esitazioni, non ha temuto nulla poiché la sua azione era diretta ad uno scopo nobile di far cessare i lugubri supplizi della sua vendetta.
Ecco che la forza si eleva a virtù per l’infusione dello spirito; l’audacia del temerario che sfida la sorte diventa nobile virtù di fortezza quando lo scopo per cui agisce è volto al trionfo del bene. Sappiamo da Sant’Agostino di essere arbitri liberi di scegliere ma che pur se la nostra intenzione è rivolta al bene, la volontà è stata corrotta dal peccato e sovente è incapace di emergere, poiché consiste in una malattia dello spirito, incapace di ergersi tutto intero, in quanto sollevato dalla verità, ma appesantito dall’abitudine (Confessioni, VIII, 9, 21); ed allora è la fortezza che interviene a sostenerci consapevole della verità, raccogliendo gli impeti e sicura guida dell’agire, per farci procedere senza indugi e timori verso l’affermazione della nostra intenzione rivolta al bene. Se la nostra determinazione fosse diversamente orientata, emergerebbe la cattiveria, la perfidia, la malignità, la perversione; la fortezza è invece il motore pulsante, costante e incessante, veemente ed immarcescibile a cui dobbiamo la nostra affermazione al di fuori dell’ombra.
Non abbiate paura! tuonò San Giovanni Paolo II dal balcone di San Pietro all’inizio del suo pontificato spingendo l’umanità a fare emergere la virtù della fortezza, ad abbandonare le miserie dell’animo e ad ergersi trionfante nella luce di Cristo poiché Lui è l’espressione più autentica del bene e nulla, né da fuori né da dentro, può e deve distoglierci dalla sua Verità. A quarantadue anni da quella esortazione, la sua attualità è ancora pregnante.