Se non mettiamo mano ai limiti strutturali della scuola, non avremo il respiro per fare quel cambiamento che era necessario già prima della pandemia. Dalle ultime rilevazioni vediamo come siamo andati indietro rispetto al passato. Ma non solo, perché possiamo considerare un fatto la correlazione tra l’esposizione alla didattica a distanza e il calo dei risultati. La DAD, però, non ne è una causa. La si può ritenere effetto, perché ha insistito su un sistema scolastico non uniforme in termini di risultati.
Il Rapporto Nazionale Invalsi 2021 certifica un calo del risultato medio nazionale nelle competenze in italiano e matematica per quanto riguarda le scuole medie sul 2018: il paragone con il 2019 sarebbe stato ancor più impietoso perché il risultato era migliore rispetto a 12 mesi prima. Mentre per le scuole superiori lo osserviamo sul 2019. Un passo indietro è innegabile e la pandemia può aver avuto effetto su questo, oltre ad aver interrotto dei processi virtuosi. Infatti uno dei territori dove si è registrato un maggior learning loss è la Puglia. Qui negli ultimi anni si era vista una significativa inversione di tendenza e nell’ultima rilevazione non era tra le Regioni in maggiore difficoltà.
Quello che osserviamo è un peggioramento che si innesta su una situazione già critica. Uno dei dati che ha fatto più riflettere è il seguente: la metà del maturandi non raggiunge il livello minimo accettabile di competenze in matematica (oltre il 50%) o in italiano (sotto il 50%). Si tratta di dati che erano già critici nel 2019: magari 10 punti percentuali in meno, ma comunque il campanello d’allarme era già suonato da un pezzo. Ma fino che a che non hanno portato la scuola sotto gli occhi delle famiglie – letteralmente dentro casa – si sono preoccupati solo gli addetti ai lavori.
E’ innegabile anche che ci sia stato un effetto peggiorativo legato al ricorso prolungato alla didattica a distanza. Si è visto che alle scuole primarie i risultati di questa rilevazione non sono troppo distanti da quelli precedenti. Sono state anche il ciclo scolastico in cui molti alunni sono riusciti a frequentare in presenza, fatti salvi casi particolari come Campania – dove per alcuni periodi si è adottata la didattica a distanza già alle elementari – e Puglia, dove si è data la scelta se far frequentare in presenza o a distanza. Questo ci conforta: dove si cerca di mantenere la scuola in presenza si notano minori rallentamenti.
I cali sono generalizzati su tutto il territorio nazionale e più evidenti col salire di ciclo scolastico. In questo caso è innegabile pensare all’incidenza della didattica a distanza. E’ stata utilizzata alle medie quando la pandemia si è fatta più severa – si pensi alle zone rosse o alla terza ondata. Le superiori invece sono state praticamente chiuse durante la seconda ondata, tra novembre e gennaio, e si è ricorsi alla DAD. Ma non solo, perché sempre alle superiori la DAD è stata utilizzata fin dall’inizio dell’anno scolastico, in tutti quegli istituti in cui non si trovava abbastanza spazio per tenere le lezioni con gli studenti in presenza.
C’è un problema di fondo, e questo il Test INVALSI già ce lo diceva. Esistono forti differenze di funzionamento e di esiti da scuola a scuola e da classe a classe, per cui quando si è passati alla didattica a distanza, questa ha insistito su quelle realtà con una minore capacità organizzativa e di perfomance.
Solo una minima parte degli studenti ha promosso il proprio corpo docente nelle sua capacità di utilizzare bene la piattaforma. La didattica va adattata al mezzo, non si può trasformare la lezione in uno streaming lungo ore. Lo stesso discorso per i metodi di valutazione.
Ci dobbiamo rendere conto che la scuola italiana è in un momento di profonda crisi. Le Rilevazioni Nazionali INVALSI, come tutte le prove standardizzate, valutano solo alcune competenze di base, non hanno la pretesa di valutare quelle conoscenze e competenze che si sviluppano a scuola. Ma vediamo comunque che i Paesi che hanno risultati migliori nelle prove standard dell’Ocse producono più tecnologia, più innovazione, più know how. Per fare un esempio, in Finlandia il sistema educativo oggi è un’eccellenza, ma fino a venti o trent’anni fa non era così. Le forze politiche e le parti sociali hanno fatto una riforma con un orizzonte ventennale.
In Italia la vera grande riforma si dovrebbe fare sul reclutamento dei docenti con concorsi stabili e costanti per porre fine al problema del precariato. Un’altra cosa importante è la formazione continua, altrove già controllata e monitorata. Un altro tema che non andrebbe dimenticato è il controllo periodico della qualità dei docenti. Esistono già diversi modelli per la valutazione dei docenti con una cadenza regolare.
Un altro tema è quello della governance della scuola, a tutti i livelli. In termini di competenze, da quelle ministeriali fino agli enti locali, perché lo scorso anno abbiamo visto che – di fatto – non c’era un unico decisore, la scuola è parte di un ecosistema. Le scuole oggi sono entità autonome rispetto al Ministero, ma di fatto non esistono reali strumenti di controllo o d’intervento che possono qualche modo essere incisivi: ad esempio, il dirigente scolastico non può scegliersi la sua squadra.