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Più scelte condivise di fronte all’emergenza Covid

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Ci risiamo. Riparte la guerra civile. Lo scontro tra i popoli è ormai accantonato; la guerra è confluita all’interno, tra chi pensa in un modo e chi pensa in un altro, tra visioni differenti, spesso neanche opposte, della vita sociale, incuranti della appartenenza alla stessa comunità. Abbiamo già scritto tanto della sindrome del diverso, della esclusione, della opposizione nei confronti di chi non condivide le nostre stesse idee.

Le scene di questi giorni che mostrano la guerriglia urbana tra persone che protestano contro i provvedimenti restrittivi e le autorità di polizia che hanno l’obbligo di difenderli, gli assalti ai palazzi ed ai simboli delle istituzioni, l’uso di sassi e lacrimogeni, ci portano alla memoria anni passati in cui la violenza ha dilagato e degenerato fino a compromettere ogni naturale confronto di idee: l’uomo politico che si era maggiormente esposto per il dialogo tra due mondi che sembravano inconciliabili fu assassinato al termine di un rapimento e di un’azione ancora non del tutto chiarita. Era il presidente della Democrazia Cristiana e pagò per le sue idee di conciliazione. Era Aldo Moro, la cui lezione continua ad essere inascoltata.

Oggi l’emergenza sanitaria ha lasciato il posto ad interventi di restrizione che gran parte della popolazione non comprende, non condivide e ritiene eccessivamente privativi delle libertà fondamentali ed insopportabilmente gravosi per l’economia, anche individuale. Non c’è chiarezza, al di là delle manifestazioni di facciata, sull’effettiva portata dell’emergenza, sulla sua durata, sulle aspettative e sulle ragioni che escludono alcuni settori, ritenuti privilegiati, dalle restrizioni: si pensi solo al gioco del calcio, unico a continuare il suo spettacolo tra gli sport di contatto ma con gli spalti tristemente vuoti mentre nei trasporti pubblici sono ritornati i posti in piedi. Le persone non comprendono, incominciano a non fidarsi, monta la rabbia, si rivolta contro le istituzioni, riparte la guerriglia.

Ma come in ogni situazione di contrasto parte la tifoseria dell’una o dell’altra posizione: chi si ritiene responsabile aderisce alle restrizioni ed accusa l’altra fazione di negare l’evidenza e di attentare alla pubblica incolumità, forte dei proclami ufficiali; chi contesta, non crede alle versioni ufficiali, si affida ad altre voci di dissenso, amplifica il contrasto tra esigenze e misure, si allarma per i rigurgiti repressivi.

Al solito, la soluzione è nel mezzo ma con una insopprimibile pregiudiziale: è impossibile evitare di convivere e per convivere occorre condividere, almeno a partire da una base comune. Dopo i secoli dell’assolutismo e delle rivendicazioni, sono apparse le dittature avverso le quali si sono consolidate le scelte realmente democratiche e popolari, con il crollo delle egemonie e delle imposizioni ed il definitivo accantonamento dell’uso della violenza. Non possiamo far finta che non sia successo e tornare indietro, poiché ciò vorrà dire riprendere la guerriglia a cui farà eco la repressione, vorrà dire che le libertà conquistate definitivamente a caro prezzo saranno di nuovo soppresse in nome di non più proponibili ragioni di stato; questi sono pilastri irremovibili ed irrinunciabili della dignità personale, trasfusi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani al termine degli eccidi del Novecento, che vanno consolidati e resi imperituri.

Al di sotto di questi valori le scelte operative e gestionali devono essere il più possibile condivise, senza contrapposizioni ed intransigenze reciproche che determinano lo scontro: i giovani osservano con stupore le rigide ideologie del passato e le irrazionali ed irragionevoli chiusure al dialogo ed al confronto. Nessuno può avere la pretesa di essere nel giusto se non ascolta le esigenze dell’altra parte: se una folla nutrita insorge contro i provvedimenti assunti sarà lecito chiedersi se essi siano o meno adottati nell’interesse di tutti. I decenni trascorsi hanno visto le proteste diffuse che hanno consentito l’adeguamento della legislazione ai diritti maggiormente sentiti; non si può ora restare sordi e pretendere di imporre al popolo ed al paese la propria inspiegabile verità. Occorre che si apra il confronto ed il dibattito tra le forze sociali e le istanze delle categorie, che le istituzioni scendano tra le persone e ne raccolgano le esigenze: amministrare è servire, non comandare.

Roberto de Tilla: