La vicenda dell'indagine a carico del ministro Salvini per sequestro di persona dei migranti recuperati in mezzo al Mediterraneo da una nave della Guardia Costiera presenta dei punti che devono essere opportunamente chiariti. Le ultime elezioni ed i sondaggi successivi sembrano premiare la linea politica di chi vuol porre un freno all'afflusso dei migranti dall'Africa e dall'Asia, soprattutto per via mare. Situazione percepita come ormai insopportabile dalla maggioranza della collettività. Ed allora il divieto di sbarco i soggetti che si sono posti volontariamente in uno stato di difficoltà, se non di necessità, è stato sentito come una scelta politica condivisa quantomeno da una notevole parte del paese.
Ha lasciato perplesso, quindi, il comportamento di un Procuratore della Repubblica, quindi un pubblico ministero, il quale ha ritenuto di dover indagare il ministro che ha impedito ai soggetti giunti sulla nave militare di sbarcare come in passato è sempre stato fatto. Il mantenimento di questi a bordo della nave a tempo indeterminato è stato considerato dal pm un atto illegittimo posto in essere dal ministro dell'Interno che lo ha rivendicato come una sua scelta. Ma se molti commentatori hanno ritenuto che la decisione di Salvini sia stata puramente politica, quindi non sindacabile dall'autorità giudiziaria, altra lettura ricorda che in uno Stato di diritto tutti sono soggetti alla legge, anche gli alti rappresentanti delle istituzioni.
Vi è, infatti, e non è certo cosa da poco, una legge che prevede che chi viene soccorso in mare debba essere portato per l'identificazione presso centri per tale ragione allestiti. Norma che il pm in questione ritiene sia stata violata. Si tratta dell'articolo 10 ter del testo unico della immigrazione che testualmente così chiarisce: “lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi ….”. Ora si può discutere se questa legge sia rigorosa oppure permissiva, se debba rimanere nella nuova stagione politica o se debba essere modificata o abolita, ma di certo la procedura è chiara e, secondo il pm procedente, non sarebbe stata seguita nella vicenda della nave “Diciotti”. Il Parlamento può riformare questa legge, il governo, ove ne ravvisi l'urgenza, può modificarla con decreto legge. Resta il fatto, proprio di uno Stato di diritto, per il quale una legge, fin quando è in vigore, deve essere rispettata, da tutti.
Ma purtroppo la riflessione va oltre. Il ministro Salvini, appena appreso di essere indagato, ha reagito affermando che c'è bisogno di riformare il sistema penale e di separare le carriere tra giudici e pubblici ministeri. Parole che fanno presagire uno scenario cupo. La separazione delle carriere, di cui già si è parlato in passato, rischia di trasformarsi infatti in una forma di condizionamento operata nei confronti dei pm da parte della maggioranza di turno, che ne potrebbe orientare le scelte gestendo le decisioni. Troppe volte nella storia di questo Paese abbiamo assistito a questi tentativi, fino ad oggi fortunatamente falliti, ma che rinascono ogni qualvolta il potente di turno venga disturbato da un controllo di legalità che, come quando interviene un pubblico ministero all'inizio di un'indagine, costituisce soltanto una ipotesi di reato e non certo l'accertamento di questo.
Ed ancora una volta occorre ricordare che si dimenticano discussioni e problemi del recente passato quasi in questo paese non si riuscisse ad andare avanti. La nostra Costituzione ha voluto il pubblico ministero libero come un giudice perché l'unico punto di riferimento che deve avere è nella legge e non nella volontà delle diverse maggioranze politiche, le quali possono orientare l'azione della magistratura solo nella misura in cui i propri intendimenti si trasfondano in atti legislativi del Parlamento.
Paolo Auriemma, procuratore capo di Viterbo