Il tema del salario minimo orario, fissato per legge, è come un fiume carsico. Riemerge e si inabissa quasi con un andamento cadenzato nel tempo. In questa stagione il salario minimo è riemerso in superficie e scorre attraverso le diverse ipotesi presenti nel dibattito. L’Italia è uno dei pochi Paesi della Ue che ne è privo. I primi ad essere almeno perplessi se non addirittura sospettosi sono i sindacati. Il loro ragionamento non fa una grinza.
Il nostro Paese vanta una copertura molto elevata da parte della contrattazione collettiva di categoria, che da decenni è assunta come riferimento del trattamento economico e normativo da assicurare ai lavoratori ancorché non iscritti ai sindacati stipulanti. Ciò in forza di una interpretazione giurisprudenziale consolidata che identifica il carattere di salario proporzionato e sufficiente (di cui all’articolo 36 Cost.) nei minimi tabellari disposti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali ritenute comparativamente più rappresentative. Sappiamo che si tratta di una scorciatoia discutibile sul piano giuridico, poiché i contratti assumono valore erga omnes soltanto attraverso le procedure sancite dall’articolo 39 Cost. mai applicato per tanti buoni motivi.
Peraltro nel corso degli ultimi anni è scoppiato il caso dei contratti pirata ovvero di accordi stipulati da sindacati che sono disposti a negoziare con le controparti trattamenti inferiori a quelli della contrattazione effettuata dalle confederazioni storiche, con lo scopo preciso di essere riconosciuti come interlocutori e poter accedere al congruo pacchetto dei c.d. diritti sindacali. E’ sorto però un problema: in Italia nel giro di un decennio i contratti nazionali di lavoro sono passati da poco più di 400 a quasi mille. Come si risana questa piaga?
Secondo i sindacati sarebbe sufficiente una legge che stabilisca quali siano i requisiti per riconoscere lo stigma della ‘’maggiore rappresentatività’’ e quindi il diritto di veder applicare erga omnes i contratti da loro stipulati. Ma qui, come nel gioco dell’oca si ritorna alla casella di partenza, ovvero a quanto previsto in merito dall’articolo 39 Cost. riaprendo così tutti i delicati problemi a cui dal 1948 ad oggi non si è mai riusciti a venire a capo. Ecco allora che i governi cercano rifugio al riparo di un salario minimo fissato per legge che metterebbe tutti al loro posto.
Le ultime notizie affermano che è in corso, a Bruxelles, un rilancio del salario minimo. Il governo Draghi, pertanto, sembrerebbe intenzionato ad adottarne una versione italiana proprio per liberarsi del rompicapo di riconoscere valore generale ai contratti, passando per le “forche caudine di una legge sulla rappresentanza”. E’ all’esame una proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio riguardante l’adeguatezza del salario minimo nell’Unione. Sono state, in quella sede, compiute persino valutazioni di impatto. L’analisi quantitativa effettuata su uno scenario basato su un aumento ipotetico dei salari minimi fino al 60 % del salario lordo mediano dimostra che un simile aumento migliorerebbe l’adeguatezza dei salari minimi in circa la metà degli Stati membri. Un numero di lavoratori compreso tra 10 e 20 milioni trarrebbe vantaggio da tali miglioramenti.
In numerosi paesi, i miglioramenti della tutela garantita dal salario minimo comporterebbero una riduzione superiore al 10 % della povertà lavorativa e delle disuguaglianze salariali e una riduzione pari almeno al 5 % circa del divario retributivo di genere. Secondo le previsioni, tali miglioramenti avrebbero ripercussioni positive anche in materia di incentivi al lavoro, nonché in relazione al sostegno alla parità di genere, e contribuiranno a ridurre il divario retributivo di genere dato che le donne costituirebbero la maggioranza dei lavoratori che percepiscono un salario minimo (il 60 % circa nell’UE).
Gli impatti economici previsti comprendono un incremento dei costi del lavoro per le imprese, l’aumento dei prezzi e, in misura minore, la riduzione dei profitti. L’impatto sulle imprese sarebbe attenuato da un incremento dei consumi dei lavoratori a basso salario, che sosterrebbe la domanda interna. Le imprese, e le PMI in particolare, trarrebbero inoltre vantaggio da aumenti più progressivi e prevedibili dei salari minimi, che migliorerebbero il contesto imprenditoriale.
Secondo le previsioni, l’eventuale impatto negativo sull’occupazione sarebbe limitato, rimanendo nella maggior parte dei casi al di sotto dello 0,5 % del tasso di occupazione totale, ma raggiungendo l’1 % in tre Stati membri. I benefici generati dal miglioramento della tutela garantita dal salario minimo per i lavoratori interessati risulterebbero di gran lunga superiori all’eventuale impatto negativo sull’occupazione di tali lavoratori. Si prevedono inoltre impatti ridotti sulla competitività a livello aggregato. Il pacchetto prescelto chiede a tutti gli Stati membri di sostenere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, in particolare nei casi in cui la copertura della contrattazione collettiva è bassa, nonché di rafforzare l’applicazione dei salari minimi e il monitoraggio della loro adeguatezza e copertura. Il pacchetto impone inoltre, per quanto riguarda gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, l’impiego di criteri chiari e stabili per orientare la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi e un ruolo rafforzato delle parti sociali. Esso limita inoltre al minimo indispensabile l’uso di trattenute sui salari minimi legali e di variazioni degli stessi.
Si dovrebbe garantire così una flessibilità sufficiente per consentire agli Stati membri di determinare il ritmo del miglioramento dell’adeguatezza dei salari minimi alla luce delle condizioni economiche e dei rischi a livello economico, anche in specifici settori, regioni e PMI. In verità non sarebbero fuori luogo una serie di dubbi. Se non ha avuto il successo sperato la lotta alla povertà attraverso le erogazioni assistenziali (come da noi il RdC), non è detto che sia un’alternativa percorribile raggiungere dei risultati attraverso l’incremento ex lege delle retribuzioni, anche perché il presupposto del salario minimo sarebbe sempre l’esistenza di un rapporto di lavoro (il caso dei worker poors) mentre i suoi effetti riguarderebbero un numero di soggetti, nella Ue, a questo punto a carico delle imprese e senza alcuna contropartita per quanto riguarda la prestazione.
La proposta di direttiva fa notare che, negli ultimi decenni, i salari bassi non si sono mantenuti al passo con gli altri salari in molti Stati membri. Le tendenze strutturali che hanno rimodellato i mercati del lavoro, quali la globalizzazione, la digitalizzazione e l’aumento delle forme di lavoro atipiche, in particolare nel settore dei servizi, hanno portato a una maggiore polarizzazione del lavoro che ha a sua volta generato un aumento della percentuale di posti di lavoro a bassa retribuzione e a bassa qualifica, contribuendo inoltre a un indebolimento delle strutture di contrattazione collettiva tradizionali. Ciò ha causato un aumento della povertà lavorativa e delle disuguaglianze salariali.
Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2020 la presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato: “La verità è che per troppe persone il lavoro non è più remunerativo: il dumping salariale distrugge la dignità del lavoro, penalizza l’imprenditore che paga salari dignitosi e falsa la concorrenza leale nel mercato unico. Per questo motivo la Commissione presenterà una proposta legislativa per sostenere gli Stati membri nella creazione di un quadro per i salari minimi Tutti devono poter accedere a salari minimi, che sia attraverso contratti collettivi o salari minimi legali”. A suo tempo, in Italia, era stata considerata una sorta di liberatoria la possibilità di realizzare il minum wage attraverso la contrattazione collettiva, come richiedono i sindacati. Ma il percorso si è rivelato troppo complicato per quanto riguarda l’obiettivo dell’erga omnes. Così il governo sembra orientato a puntare sulla introduzione di un salario minimo legale. E’ all’esame l’ipotesi di fissare un minimo corrispondente a quello del CCNL “multiservizi” circa 8,50 euro/ora lordi in modo che la legge non richieda coperture di finanza pubblica poiché gran parte della PA affida lavori ad aziende che usano contratti “multiservizi”.
Salario base + tredicesima + TFR | |||
Sotto soglia 9 euro | Sotto soglia 8,50 euro | Sotto soglia 8 euro | |
Dipendenti Privati | 9,7% | 6,9% | 4,7% |
Operai agricoli | 15,9% | 8,9% | 4,8% |
Lavoratori domestici | 71,8% | 57,3% | 45,0% |
TOTALE | 12,9% | 9,2% | 6,4% |
Fonte: Rapporto INPS 2020
In tutti i modi si tratta di un’operazione complessa portatrice di effetti contraddittori e non sempre positivi. Il salario minimo sarebbe inevitabilmente fissato ad un livello inferiore a quello che risulta essere medio a livello della contrattazione collettiva. E quindi indurrebbe le aziende a fuoriuscire dal sistema delle relazioni industriali per attestarsi sul nuovo livello retributivo. Nello stesso tempo però, milioni di lavoratori vedrebbero aumentare ex lege la loro retribuzione che sarebbe in gran parte costituita proprio dal salario minimo.