In un incontro dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, papa Francesco ha esortato i partecipanti con sollecitudine paterna: “Ricordate sempre che costruire il futuro non significa uscire dall’oggi che viviamo! Al contrario, il futuro va preparato qui e ora, ‘in cucina’, imparando ad ascoltare e discernere il tempo presente con onestà e coraggio e con la disponibilità a un costante incontro con il Signore, a una costante conversione personale”. Altrimenti, ha aggiunto, si corre il rischio di vivere in un “mondo parallelo”, distillato, lontano dalle sfide reali della società, della cultura e “di tutte quelle persone che vivono accanto a voi e che attendono la vostra testimonianza cristiana”. Infatti, appartenere a un’associazione, a un movimento o una comunità, “soprattutto se fanno riferimento a un carisma, non deve rinchiuderci in una “botte di ferro”, farci sentire al sicuro, come se non ci fosse bisogno di alcuna risposta alle sfide e ai cambiamenti. Tutti noi cristiani siamo sempre in cammino, sempre in conversione, sempre in discernimento”.
Anche Giovanni Paolo II non smise mai di sollecitare “una più matura autocoscienza” dei movimenti ecclesiali. Nella sua visione essi rappresentano “uno dei frutti più significativi di quella primavera della Chiesa già preannunciata dal Concilio Vaticano II, ma purtroppo non di rado ostacolata dal dilagante processo di secolarizzazione”. La loro presenza, secondo Karol Wojtyla, è “incoraggiante” perché mostra che questa primavera avanza, manifestando “la freschezza dell’esperienza cristiana fondata sull’incontro personale con Cristo”. A giudizio di Giovanni Paolo II, nella diversità delle forme, i movimenti si caratterizzano per “la comune consapevolezza della novità che la grazia battesimale porta nella vita, per il singolare anelito ad approfondire il mistero della comunione con Cristo e con i fratelli, per la salda fedeltà al patrimonio della fede trasmesso dal flusso vivo della Tradizione”.
A Cl, Focolarini, Regnum Christi, Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) e alle altre realtà ecclesiali sorte dopo il Concilio, Giovanni Paolo II attribuisce il merito di un “rinnovato impulso missionario, che porta ad incontrare gli uomini e le donne della nostra epoca nelle concrete situazioni in cui essi si trovano ed a posare uno sguardo carico d’amore sulla dignità, sui bisogni e sul destino di ognuno”. La leadership di Karol Wojtyla, però, era plasmata soprattutto sulla sua spontanea attitudine di “direttore d’ orchestra”, capace di valorizzare i talenti individuali a patto però che concorrano al superiore interesse del bene comune e dimostrino l’umile e provvidenziale onestà di servire la Chiesa invece di servirsene. La scelta fondamentale del suo Magistero pontificio fu quella di mettere subito in chiaro, già pochi mesi dopo l’elezione al Soglio di Pietro, come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i movimenti sono un’espressione significativa.
Ambedue sono coessenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo. Insieme mirano a rinnovare, secondo i loro modi propri, l’autocoscienza della Chiesa, che può dirsi, in un certo senso, essa stessa “movimento”, in quanto avvenimento nel tempo e nello spazio della missione del Figlio per opera del Padre nella potenza dello Spirito Santo. Giovanni Paolo II rintracciava nei gruppi laicali “frutti copiosi a beneficio della Chiesa e dell’intera umanità”. Per questo, lungo tutto il suo pontificato, Karol Wojtyla continuo a insistere sulla necessità di una “testimonianza comune” nella quale tutti i movimenti erano richiamati ad armonizzarsi con il resto della Chiesa “in spirito di amicizia, di dialogo e di collaborazione”.