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Ecco perché nelle regioni occorre votare chi sostiene la vita

Ogni appuntamento elettorale impone una seria riflessione personale prima di decidere a quale partito e candidato dare il sostegno del proprio voto. Purtroppo, sempre di più, è invalsa la moda di non votare o votare in modo superficiale, dietro spinte emotive o slogan qualunquistici. Due atteggiamenti entrambi poco consoni con la responsabilità sociale che ogni voto porta con sé.

Il primo atteggiamento è in grave contrasto con il diritto/dovere del voto, costato davvero – senza alcuna retorica – lacrime e sangue ai nostri padri nel passaggio dalla dittatura alla democrazia; il secondo poco responsabile in ordine alla scelta dell’assetto futuro della nostra società, di fronte a scelte antropologiche e sociali che delineano politiche radicalmente opposte. Certamente i temi/problemi da valutare con attenzione sono innumerevoli, ed è dunque impossibile elencarli uno per uno – anche perché le priorità personali non sono catalogabili – ma una sorta di lente d’ingrandimento attraverso la quale leggere le scelte esiste, basta volerne essere consapevoli.

Consapevoli è il primo passo, agire in coerenza è il dovere morale e civico del secondo passo. Dunque lo sforzo di andare alla radice dei variegati problemi che affliggono il nostro Paese, conduce a chiedersi come la nostra società vuole “trattare” le sue due cellule fondamentali: la vita e la famiglia. Qualcuno potrà obbiettare che dobbiamo stare con i piedi in terra e non discettare sui massimi sistemi: accettiamo la sfida e magari scopriremo che non c’è aspetto della vita della comunità di un Paese che non sia fortemente condizionato dalla scelta di come porsi di fronte alla vita e al suo nucleo relazionale fondamentale, la famiglia. Anche le prossime elezioni regionali/comunali e perfino il voto al referendum vanno lette dentro questo contesto.

Proviamo a delineare qualche aspetto concreto, anche alla luce di fatti sociopolitici recentissimi. Da poche settimane una vergognosa circolare ministeriale – in totale sfregio della legislazione vigente e scavalcando in modo autoritario il Parlamento, unica istituzione legittimata a modificare una legge in una repubblica rappresentativa come la nostra – consente la pratica dell’aborto volontario fuori dalla struttura sanitaria pubblica, stravolge il ruolo dei consultori, anch’esso stabilito da apposita legge, trasformandoli in agenzie “pro aborto” e – ci sarebbe da dire “ciliegina sulla torta” se non fosse che è in gioco il dramma della soppressione di una vita umana innocente – allunga il tempo di utilizzo dell’aborto con la pillola RU486 da 7 a 9 settimane. Un vero scempio, secondo i migliori canoni di una società contro la vita, ma anche contro la ragione onesta.

Almeno per due motivi: perché lanciare il messaggio che con una pillolina, assunta in totale solitudine (a proposito: viene definito rispetto assoluto della scelta e della privacy, un atto che è al contrario l’abbandono di fronte a una decisione drammatica, per chiunque) si risolverà ogni problema, è radicalmente falso e forviante, come la dolorosa esperienza già vissuta testimonia. Inoltre, perché uno stato civile ha il dovere di mettere ogni impegno perché un bambino possa nascere, piuttosto che allargare i tempi perché gli si infligga la morte per legge. Chi ci perde se nasce un bimbo in più? Che male può fare un bimbo che viene alla luce? Non esiste donna al mondo che si sia pentita di aver dato la vita a un bimbo, mente esistono milioni di donne afflitte, quando non disperate, perché hanno abortito, magari pressate da problemi economici o sociali che lo Stato avrebbe tutto il potere (e il DOVERE) di risolvere: un assegno mensile di mantenimento, un lavoro protetto, un assegno di maternità, case di accoglienza, campagne pro adozione dopo parto in anonimato, ecc… La fantasia a servizio della vita ha il dovere di vincere la fantasia della cultura della morte. E non si tiri fuori la scusante – tanto vile quanto falsa – della limitazione dei fondi: uno stato che si permette il lusso di buttare all’aria 200 milioni di euro per inutili monopattini, non può accampare scusanti quando si tratta di salvare vite innocenti!

Che c’entra tutto questo con le prossime elezioni? C’entra eccome perché le Regioni godono di un grande potere discrezionale e legislativo su temi di ordine sanitario e sociale. Nella fattispecie, nessuna Regione è obbligata ad assumere il “protocollo RU486” del Ministro Speranza: è libera di rigettarlo, così come è libera di mettere in atto politiche a favore della vita e della famiglia. Questo va chiesto ai candidati delle prossime elezioni: qual è il tuo programma su temi come RU486, funzionamento dei consultori, stipula di convenzioni con Centri di Aiuto alla Vita, attuazione di “Progetti Gemma” per il sostegno economico/sociale della mamma e del bimbo? La condizione di una gestante che sta decidendo per l’aborto, dovrebbe essere trattata come si fa con il “codice ROSSO” in Pronto Soccorso: è in gioco la vita di un bimbo e la salute psico-fisica di una mamma, che non si risolvono con la pillola a casa!

Dunque, in buona sostanza, quando siamo dentro la cabina elettorale, la scelta di dove apporre la nostra X su un partito e un candidato, è la scelta di mettersi dalla parte della vita o della morte. Questa, purtroppo, non è retorica: sono tragici fatti testimoniati da oltre quarant’anni di politiche pro-aborto, senza politiche pro-vita.

In chiusura, una parolina sul referendum va detta, perché anche questa scelta ha un risvolto che non può essere ignorato. Il partito che ha fortemente voluto questa modifica della Costituzione si è altrettanto fortemente distinto per posizioni contro la vita e la famiglia e i suoi leader non hanno mai speso una sola parola in difesa di questi grandi valori sociali; ridurre il numero dei parlamentari significa ridurre la rappresentanza democratica e non ha proprio nulla a che fare con la qualità del lavoro svolto dal Parlamento (il COVID ci ha insegnato che non è certamente riducendo il numero di medici, infermieri, ospedali, terapia intensive che si migliora il funzionamento della sanità!); la riduzione della spesa può essere sostenuta solo con motivazioni tanto emotive quanto infondate: il costo del Parlamento attuale è pari allo 0,007% della spesa pubblica italiana ed il Parlamento ridotto farà risparmiare 0,97 euro per italiano. Neanche un caffè ci compriamo vendendo la nostra democrazia! Ne vale la pena! NO.

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