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Il pericolo della realtà virtuale: modelli di arroganza e violenza

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Scene di violenza, imitazioni pericolose, derive incontrollabili: la vicenda di Colleferro accende un importante riflettore sull’esigenza di riflettere su alcuni modelli di riferimento. Perpetrati attraverso il web o la tv, senza forse il filtro necessario per far sì che i contesti educativi possano far fronte al veicolare di determinati messaggi. Interris.it ne ha parlato con la dottoressa Maria Rita Parsi, psicologa, psicoterapeuta e docente.

“Non ci dobbiamo stupire se accadono episodi simili, se la tendenza è a rendere eroi positivi dei personaggi in internet, magari i peggiori possibili. Hanno una serie di caratteristiche che la dicono lunga su che cosa hanno mutuato dalla cultura che li circonda. Basterebbe che uno si soffermasse a vedere quale tipo di modelli seguono, fra tatuaggi, attività fisiche di un certo tipo o, semplicemente, guardando cosa mettono in internet. Ognuno, in questo spazio virtuale, è libero ahimè di fare quello che crede. E ritengo che questa sia una delle cose alle quali i genitori dovrebbero provvedere. Al di là dell’educazione ricevuta a scuola o in famiglia, c’è una realtà virtuale che mette in moto dei modelli allucinanti di arroganza e di violenza.

Ci sono delle serie televisive che possono essere di esempio. Tempo fa parlavo con dei ragazzi che trovavano bellissima una nota serie televisiva sul mondo delle gang, che presenta personaggi allucinanti. E che contiene delle scene decisamente inadatte a un determinato pubblico, quali orge, sanguinosi riti di avviamento alla criminalità, violenza reiterata. E queste sono scene che ho visto alle 14.45 di un sabato. Io ritengo che questa sia un’azione criminale che, non avendo nessuna idea dell’effetto che può provocare, queste persone veicolano. E, probabilmente, in un contesto in cui la stragrande maggioranza delle famiglie non ha il parental control.

Io prendo spunto da qui per dire che l’immagine di spacciatori, assassini, persecutori, criminali, intimidatori e ricattatori, diventa quella di eroi che, ahimè, si insinuano nella mente offuscata, nella povertà educativa di certi ambienti o nei traumi subiti.

E’ qualcosa che non può che amplificare una modalità di comunicare che fa sì che, ogni volta che vi sia una piccola sopraffazione, si agisca facendo strage, massacrando. E tutto questo viene a sua volta amplificato da grandi serie televisive che nessuno blocca. Non mi stupisce che vi siano queste storie quando il modello di eroe negativo viene veicolato dalla mattina alla sera su ciò che i ragazzi usano di più, ovvero il mondo virtuale. Non sono affatto stupita che si manifestino certe “mode” come tatuarsi tutto il corpo, o pensare di avere un tatuaggio di un certo tipo o tenere certi comportamenti di persecuzione verso chi è diverso, per il colore della pelle o magari perché donna…

Quando delle persone si uccidono per un complimento alterato a una ragazza, significa che non siamo persone del 2020 ma tra trogloditi crudeli, che esaltano la violenza come codice. E questo, molto legato al mondo virtuale che frequentano, ci dà il peso della incapacità di empatizzare con ciò che può accadere nella mente dei ragazzi con questi orrori. Questi prodotti, che hanno magari il loro valore scenografico o di significato, sono però di una crudeltà e ferocia che soltanto l’assoluta incompetenza, la mancanza di strumenti, di conoscenza umanistica e scientifica, l’indifferenza con la quale vengono veicolati questi messaggi, produce un effetto che non ci deve poi stupire.

Si spara come se nevicasse, si prende a calci in faccia la gente… Si produce un effetto scia. Quando un mondo ti rimanda a questi modelli, che comprende anche persone eliminate o avvelenate magari perché oppositori, non dobbiamo stupirci se accadono questi episodi. Più che puntare il dito sui presunti responsabili, metterei l’accento sui contesti in cui questi ragazzi sono stati fatti crescere, con un’educazione a livello familiare, scolastico, sociale, virtuale, permettendogli di assimilare comportamenti di questo genere. Nella scuola italiana non esiste un’educazione all’uso virtuoso del virtuale, né linee guida per i genitori. Il parental control dovrebbe essere assolutamente in uso in tutte le case, di norma per chi ha dei figli in casa. La battaglia si fa contro i modelli, questi comportamenti sono un insieme di educazione ricevuta, in famiglia e negli ambienti intorno, che non per forza sono le degradate periferie, ma anche i mondi virtuali che propongono questi modelli”.

Maria Rita Parsi: