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Il razzismo, figlio di solitudine e vuoto interiore

Il 10 agosto un uomo di 41 anni, dopo aver concluso una giornata di duro lavoro, si apprestava a tornare a casa. L’uomo, di origini senegalesi, ha incontrato alla stazione ferroviaria di Carnate, in provincia di Monza, due noti trapper che per il solo fatto che fosse immigrato lo hanno picchiato, derubato e minacciato dicendogli: “Vogliamo ammazzarti perché sei nero”. Hanno, poi, postato su Instagram il video dell’aggressione di cui sembrano molto fieri.

Episodi come quello appena citato sono in grandissimo aumento. Non si tratta di episodi isolati o casuali, ma di un vero e proprio fenomeno: la denigrazione dell’immigrato, in particolare di chi ha la pelle scura, aggravata dall’emulazione.

Famiglia e scuola sono certamente le istituzioni da cui ripartire ma la politica ha le sue responsabilità. I politici veri non ricercano il consenso, lo costruiscono. La tendenza, invece, è quella di puntare alle suggestioni che toccano la “pancia” delle persone. Si cerca di sfruttare le tensioni sociali per trasformarle in sostegno elettorale.

Crepet, in ottica costruttiva, sostiene come sia importante seguire l’esempio di un insegnante che ha invitato delle giovani scrittrici maghrebine a parlare agli alunni rendendo la lezione un’esperienza bellissima e preziosa. In tal modo si pongono le basi per favorire la bellezza dell’incontro da persona a persona, qualsiasi sia il colore della pelle.

Interessante è anche l’approccio della psicologia positiva, che si occupa del benessere delle persone e che individua nella risposta proattiva la strategia più efficace per mantenere l’autocontrollo di fronte all’ostilità razziale. È importante, infatti, la riserva di giudizio su chi si è mostrato aggressivo o insensibile, fino a quando non saranno ottenute ulteriori informazioni. Si rivelano funzionali un atteggiamento positivo e un forte autocontrollo per evitare reazioni impulsive. Fondamentale è l’utilizzo di informazioni personali per incoraggiare chi ha un atteggiamento discriminante a considerare la persona che attaccano più simile a sé piuttosto che rientrante nello stereotipo negativo che ha in mente, e per indagare quanto i loro pregiudizi razziali siano stabili.

Tali risposte proattive non sono sufficienti a prevenire la discriminazione razziale, né possono sempre mitigare lo stress emotivo provato da chi subisce un episodio di razzismo. Anche per questo ulteriori strategie di “coping” includono la ricerca di un supporto sociale all’interno della comunità (come il supporto familiare), le pratiche di conforto religioso spirituale (preghiere), l’impegno in attività piacevoli, la partecipazione ad attività rilassanti e riposanti e la partecipazione a iniziative collettive.

Va da sé che il razzismo sia figlio di tanta solitudine e di un grande vuoto interiore. Bisogna, quindi, sconfiggere l’ignoranza, aiutando a far capire che il razzismo non ha senso. Esso è la negazione dell’incontro con sé stessi e con l’altro. Il razzismo è un controsenso letterario, sociale, interpersonale… un controsenso a tutto tondo.

È tanto ontologicamente semplice, quanto umanamente non ben percepito: siamo appartenenti alla razza umana ma sembra che le parole di M. L. King siano oggi più che attuali: “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”.

Per farlo bisogna guardare gli occhi di chi si incontra anziché il colore. Bisogna ritornare ad apprezzare il luogo da cui si proviene perché potrebbe arricchire. Bisogna ritornare ad apprezzare la persona che si incontra in quanto tale. Nell’incontro con l’alterità si può davvero prendere parte alla vita. Nell’incontro Io-Tu si stanzia la bellezza della vita: la relazione umana. Essa non fa distinzione di colore e non ne ha uno suo standard. Eppure può brillare. Mandela ci ha insegnato che, se l’uomo ha imparato ad odiare, ha anche appreso come si può amare. Ed è proprio vero che amare è più naturale che odiare. Possiamo e dobbiamo fare di più. La lotta al razzismo riparte dalla nostra capacità di amare.

Prof. Alfredo Altomonte: