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Le questioni che devono affrontare le istituzioni per favorire l’inclusione

Le questioni che le istituzioni devono affrontare per favorire l’inclusione delle persone con disabilità e dei familiari caregiver sono le seguenti: il Dopo di Noi, per il quale, le istituzioni, a partire dalle Amministrazioni Comunali, ormai sanno che non c’è più tempo: occorre pensare, ma soprattutto agire per dare risposte concrete a tutte le famiglie con persone disabili, ma in particolar modo a quei genitori anziani con figli disabili adulti. Sono loro ad aver dedicato una vita ai propri figli, senza la possibilità di riposarsi un minuto, senza mai pensare a sé stessi e ad una vecchiaia serena. A queste persone siamo obbligati umanamente a dare una risposta: chi si occuperà dei loro figli quando loro non saranno più in grado di farlo o peggio quando non ci saranno più?  Una società civile ha il dovere di dare risposte concrete, individualizzate, plasmate sulla persona con disabilità.

In riguardo alle barriere architettoniche invece, sono decenni che se ne parla, in quanto non permettono di svolgere ad una persona disabile, una vita “normale”, con quelle facilitazioni, a volte anche banali, che non vengono attuate per mancanza di sensibilità da parte delle istituzioni. Una scala, un gradino, una rampa troppo ripida, non permettono l’accessibilità a spazi, a servizi, a luoghi pubblici, in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia. A volte mi capita di andare nelle scuole e la cosa che mi colpisce subito sono quegli scaloni enormi e ripidi che ci sono all’ingresso. Ora per fortuna ci sono gli ascensori – se funzionano -. Ma come si può progettare una scuola che dovrebbe essere accessibile a tutti i bambini, senza pensare a quelli con limitate o nulle capacità motorie?

C’è poi il tema riguardante il lavoro. Le istituzioni, sempre in collaborazione con le famiglie, le Associazioni e i professionisti che seguono la persona disabile, dovrebbero creare dei percorsi lavorativi cuciti su misura per queste persone. Sono già attivi alcuni servizi, che però è necessario implementare e rendere veramente delle occupazioni in ambienti inclusivi e non soltanto dei “parcheggi”. Occorre lavorare innanzitutto per creare una cultura di inclusione, una vera rete che parte dalla sensibilizzazione delle aziende verso la disabilità. Una persona disabile non deve adattarsi al contesto se non riesce: è il contesto che deve adattarsi alla persona disabile. Non penso sia un obiettivo irraggiungibile. Credo che ci siano realtà disposte e interessate ad includere veramente persone disabili, non solo perché obbligate per legge. C’è ancora molto da fare, ma lavorando in sinergia, tutto è possibile.

Inoltre, è compito delle istituzioni è quello di fare rete attorno alla persona con disabilità. Rete con le Associazioni, con il terzo settore, con l’ATS e l’ASST – ossia il settore sanitario -. I nostri Comuni sono abbastanza piccoli, le realtà difficili si conoscono. È possibile dare una mano alle famiglie con persone disabili: basta volerlo. Infine, le istituzioni, proprio per la loro conoscenza dei casi sul territorio, possono fare da registi e far dialogare tutti i soggetti coinvolti. Nella maggior parte dei casi, ognuno fa il suo pezzo, senza confrontarsi con gli altri soggetti/enti che si occupano della persona disabile. Basterebbe a volte trovarsi attorno ad un tavolo per conseguire la soluzione migliore per il benessere del disabile e della sua famiglia. Ci si scontra tutti i giorni con problemi burocratici che con un po’ di buona volontà potrebbero essere risolti. La maggior parte delle volte manca proprio la buona volontà e le famiglie, già provate per la loro situazione, devono letteralmente impazzire per questioni semplici.

Emanuela Nussio: