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Quei gesti vuoti che stancano l’umanità

Spesso al termine di una telefonata ci si saluta con l’espressione “Ciao, un abbraccio!”. È un modo di dire talvolta automatico, forse un’alternativa all’impossibilità del contatto fisico, inclusa la stretta di mano. Però l’abbraccio è anche un modo di salutarsi potenzialmente pericoloso nella patria di Machiavelli. Anche a voce. Nelle corti del rinascimento una delle mani poteva perfezionare l’approccio fisico con una pugnalata alla schiena. Oggi questa spiacevole conseguenza si verifica in genere sul piano metaforico. Ma non è meno traditrice in un mondo dove le relazioni hanno perso troppo spesso di autenticità. Abbracci di corte, abbracci mortali.

Sorprende che da qualche tempo l’abitudine dell’abbraccio sia entrata nel protocollo degli incontri internazionali: dal G20 a Bruxelles. Quanti abbracci. Il presidente francese Macron abbraccia la presidente della commissione UE von der Leyen, a sua volta abbracciata dalla presidente del Consiglio Meloni. Che abbraccia la presidente ungherese Novák. Ha impressionato l’opinione pubblica mondiale la foto con l’abbraccio a Kiev fra il presidente ucraino Zelensky e quello americano Biden. Forse perché Biden ha quasi il doppio dell’età di Zelensky, e gli potrebbe essere padre. Joe Biden, infatti, è nato nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale. Oggi stiamo vivendo, come spesso ricorda Papa Francesco, la Terza guerra mondiale a pezzi.

In anni lontani gli abbracci erano certamente vietati dal protocollo delle cancellerie europee. Oggi invece viviamo il tempo della diplomazia emotivamente partecipe ed espansiva (ma non meno insensibile sul piano pratico al dolore di certe aree del mondo). Dal numero degli abbracci, dalla loro durata e dalla loro maggiore o minore spontaneità gli analisti della geopolitica possono così dedurre il grado di amicizia, complicità (o sudditanza) fra una nazione e l’altra. L’abbraccio infatti annulla (apparentemente) ogni distanza fra i due interlocutori, ma se vissuto da uno o da entrambi come un gesto imposto dalla “moda”, dal così-fan-tutti, non è meno distanziante dei posti assegnati a quei lunghi tavoli dove il presidente russo Putin riceve i suoi ospiti al Cremlino. Poi ci sono i baci, rigorosamente sulle gote, nemmeno tanto accennati.

Un tempo noi italiani eravamo accusati di essere troppo espansivi rispetto al cenno di inchino prussiano o a certi algidi sorrisi scandinavi. Oggi invece anche al di là delle Alpi è tutto un “baci e abbracci”. Attenzione però. Il bacio è ancora più traditore dell’abbraccio: basti l’esempio di Giuda. Nel frattempo, è scomparso dall’uso il cosiddetto bacio fraterno socialista: celebre quello fra Leonid Brežnev e Erich Honecker a Berlino nel 1979, in occasione dei trent’anni della DDR. La fotografia scattata dal francese Regis Bossu è il simbolo di un’epoca. Persiste invece la pacca sulla spalla, adottata probabilmente dai consigli di amministrazione di Wall Street, in realtà da evitare persino fra gli amici per le sue rischiose interpretazioni. Dunque, l’abbraccio prende sempre più piede (o mano), ed è accompagnato da baci sulla cui sincerità ci sarebbe molto da dire. Si spera solo che questa geopolitica degli abbracci possa sanare i grandi conflitti sociali e ponga fine alle iniziative militari di mezzo mondo, perché l’umanità è stanca di gesti vuoti. 

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