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Quali parametri definiscono la qualità della vita?

Gira sui telefonini un video di Gino Rivieccio, un arguto comico napoletano che conosco e stimo da tanti anni, in cui viene biasimata la classificazione della città di Napoli al penultimo posto per qualità della vita in una classifica redatta secondo gli standard riconosciuti di sicurezza, efficienza, lavoro, che indubbiamente non sono particolarmente esaltanti a Napoli, mentre ai primi posti vengono premiate le tranquille città del nord, tra cui quest’anno figurano anche Bologna e Milano.

Il comico, parafrasando il grande Totò nella sua Livella, che non guasta mai ripetere per la esplicita e lucida analisi dell’assurdità di tanti pur diffusi comportamenti sociali, rapidamente chiarisce che la classifica si fonda su parametri di valutazione che non identificano compiutamente le reali esigenze delle persone: e ricorda che a Napoli il clima ti consente di pranzare all’aperto, dinanzi al mare che la distingue, che la solidarietà ti fa sentire sempre in compagnia dei tuoi simili, che la cortesia e la generosità rendono di gran lunga più amena l’esistenza umana. E quindi conclude che dove albergano questi sentimenti si può ben fare a meno di organizzazione e servizi per vivere più umanamente e meno meccanicamente.

Considerazioni condivise dalla totalità delle persone, ivi compresi i premiati milanesi e bolognesi che a Napoli vengono da turisti a godere delle bellezze del paesaggio e del folclore, oltre che dell’arte e della cultura.

Ma chi allora stila questa classifica e soprattutto perché utilizza quei parametri che non rendono appieno il senso di qualità della vita, almeno per come l’ha efficacemente presentata Rivieccio? La risposta è elementare: perché viene proposta da un soggetto che sforna dati economici in maniera ordinata e consequenziale e non emozioni e sentimenti espressi in maniera spontanea. Lo studio che ci viene propinato deriva da un calcolo matematico e privilegia tali aspetti non certo quelli umani, poco misurabili scientificamente ma molto più percepibili sensibilmente: il problema non è in questo ma nel motivo per cui vengono proposti come elementi positivi di valutazione sconfessando invece il valore di cui sono espressione in termini di attrazione. Probabilmente perché l’immagine da fornire deve essere quella economicamente misurabile poiché il mercato di cui facciamo parte non può vendere la solidarietà o la simpatia ma deve fornire servizi che hanno un costo ed un margine di produttività. Al solito: privilegiamo il mercato di cui però ci sfugge che siamo la merce, non certo i mercanti.

Totò lo spiegò in maniera esemplare: la morte ci unisce poiché non riconosce titoli né averi e l’invito a vivere con quest’orizzonte ben chiaro ci mantiene vivi ed umani, come efficacemente ci ricorda il nostro amico.

Roberto de Tilla: