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Quale deve essere la strategia per combattere il Covid

Oggi la discussione generale ferve su un dilemma: da una parte c’è chi sostiene che l’epidemia va “lasciata correre”, pazienza se molti si infetteranno e i soggetti fragili moriranno, vuol dire che si svilupperà un’immunità “di gregge”, che proteggerà anche i non immunizzati. Il guaio è che perché si sviluppi immunità di gregge occorre che l’indice di trasmissione (il famoso RT) dovrebbe mantenersi immutato e l’efficacia della immunizzazione dovrebbe essere assoluta e stabile, cosa che si verifica ad esempio per il morbillo, che non sviluppa varianti a differente contagiosità e conferisce un’immunità totale (il morbillo si fa una sola volta nella vita).

Per SARS-CoV-2 non è così: si sviluppano a ripetizione varianti a contagiosità più elevata, capaci di evadere le difese immunitarie e pertanto capaci di infettare anche i vaccinati e di reinfettare i guariti da un primo episodio. Allora la strategia di lotta per questa pandemia deve essere diversa: non un approccio epidemiologico (lotta alle infezioni, ai contagi) ma un approccio clinico (lotta contro la malattia). Non test a tappeto all’ingresso in ospedale e isolamenti in reparti speciali, ma test ai soggetti a rischio e all’ingresso nei reparti a rischio (onco-ematologici, terapie intensive, residenze per anziani). I cento decessi giornalieri avvengono a carico dei soggetti fragili, per età avanzata e per co-morbosità, sia “per” Covid sia “con Covid”. Per questi può essere utile anche l’impiego preventivo di anticorpi monoclonali (Evusheld).

Per il resto, fuori dall’ospedale, occupiamoci di chi sviluppa sintomi di malattia, usiamo senza risparmio in fase di post-esposizione gli antivirali e eventualmente anche gli anticorpi monoclonali (Sotrovimab) ma soprattutto sempre più estensivamente vacciniamo perché il vaccino, anche quello non “mirato” sulle nuove varianti, protegge nel 50% dai casi dall’infezione e in più dell’80% dai casi dalla malattia. Arriveremo alla endemizzazione, alla convivenza con il virus e non perché il virus diverrà più buono ma perché la popolazione a rischio avrà efficaci difese e chi non è a rischio farà una malattia leggera, come un’influenza di stagione o un raffreddore. Sembra una ovvietà, ma tutta la storia della medicina insegna che i medici si devono occupare di malati! La Covid è una pandemia seria ma evitiamo di enfatizzarne l’approccio facendo migliaia di tamponi e di diagnosi e di isolamenti in reparti continuamente riconvertiti a reparti Covid, sottraendo risorse alle altre patologie, che pure persistono e sono gravi. Infine, prendiamo atto che l’infodemia ci ha trasformato in un popolo di virologi, di infettivologi, di epidemiologi; tutti discutono appassionatamente su tutto. Ma in fondo al cuore tutti sanno che questo non può essere serio, che sono discorsi da bar verniciati di scienza. Per cui paradossalmente la ricaduta è la sfiducia nella scienza. E gli esperti non dovrebbero prestarsi a quei giochini dei dibattiti contrapposti “pro e contro” perché non si tratta di argomenti da risolvere con una battuta.

Esistono delle regole, che si applicano ad esempio alla redazione di Linee Guida: le varie affermazioni (statement) sono “dosate” dal metodo “Grade”, cioè dal livello di evidenza (I, II, III) e dalla forza di raccomandazione (A, B, C). I livelli più bassi sono attribuiti al “parere degli esperti”, non supportati da evidenze, da prove. Sarebbe utile che ogni affermazione dei nostri esperti venisse dotata di un “grade” da parte del conduttore: quanto si fonda sull’evidenza? quale la forza della raccomandazione? Ma per quanto concerne le prove bisogna evitare di riferirsi a ricerche fatte in tempi diversi, in contesti diversi, in popolazioni diverse. L’Istituto Superiore di Sanità mette a disposizione settimanalmente un Report con dati puntuali, costruiti sulla realtà assistenziale italiana, scandite nelle diverse fasce di età e nelle diverse condizioni morbose. Fondiamo su questi dati le nostre raccomandazioni dotate di precisi “grade” evitando di citare la tale ricerca condotta magari quando era prevalente un’altra variante e in presenza di irrisori tassi di vaccinazione. E pazienza se ne soffrirà la spettacolarizzazione delle opinioni contrapposte.

Prof. Giampiero Carosi: