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La prudenza è la guida di tutte le virtù

Nella nostra esplorazione dei vizi e delle virtù, affrontando ora quelle cardinali, cioè dirette ad orientare l’azione umana, dobbiamo iniziare dalla prudenza, che il Catechismo della Chiesa Cattolica, al capitolo 1806, definisce auriga virtutum (l’auriga era il conducente del carro da battaglia) poiché “essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura”. La prudenza è la saggia misura dell’azione a cui l’uomo accorto deve attenersi per discernere il bene dal male ed adeguare i propri comportamenti per tenersi lontano dall’errore; con termine moderno possiamo definirla il navigatore che ad ogni incrocio che incontriamo sulla nostra strada ci indica la via da percorrere.

Ovviamente, la meta impostata è quella del bene, della salvezza, del vivere correttamente, in ossequio ai principi morali che governano qualunque società, primi fra tutti quelli di non ledere il prossimo e di non arrecare danno a se stessi. Tutta la filosofia morale, dall’etica di Aristotele alla ragion pratica kantiana, è pervasa da questo tracciato di orientare le azioni umane per compiere il bene, tanto che Hegel ha introdotto il concetto di responsabilità come consapevolezza dell’intenzione: “il bene non sussiste che al prezzo di una lotta attiva e costante contro una perversione possibile che lo mina dall’interno” (G. Marmasse, Hegel e la questione della responsabilità).

Ed è qui che si innesta la prudenza, come attenzione e sforzo della ragione per cercare il bene contro l’insorgere ed il dilagare del male; l’uomo prudente sa che questo può accadere ed accade e si dispone in maniera vigile per far prevalere la buona azione secondo le proprie intenzioni; l’uomo prudente non vuole il trionfo del male e si attiva consapevolmente, e quindi prudentemente, affinché le proprie azioni siano teleologicamente finalizzate agli obiettivi eletti. L’uomo prudente prevede il risultato del proprio comportamento e lo indirizza adeguatamente affinché emerga quanto aspirato. La prudenza è quindi figlia del senno, della capacità razionale (od anche istintiva: si pensi alla repulsione verso l’uccisione o maggiormente, all’istinto di conservazione) di distinguere il bene dal male ed in questa capacità previsionale esplica la propria funzione di guida morale.

Agire istintivamente può essere atto eroico se il fine supera il mezzo oppure sciagurato se il mezzo travalica il fine: in entrambi i casi è mancata la prudenza, la capacità di calcolo delle conseguenze della propria azione; se essa è stata voluta, allora nel primo caso siamo di fronte all’eroe ma nel secondo ci troviamo al cospetto del malfattore. Ecco allora che la prudenza è la capacità di stare nel mezzo, di calcolare adeguatamente e prudentemente le conseguenze del proprio agire affinché il fine sia proporzionato al mezzo impiegato, evitando il rischio di un atto eroico non voluto come della cattiva azione, inconsulta perché avventata.

La prudenza è quindi attuazione della consapevolezza di agire: l’uomo accorto controlla i suoi passi (Prv 14,15) perché solo attraverso la consapevolezza si può avere il controllo e solo attraverso il controllo si possono evitare le conseguenze negative del proprio agire e raggiungere i risultati delle proprie aspettative: ecco il motivo per cui si è responsabili delle proprie azioni in quanto o si sono volute, ed allora la responsabilità è la conseguenza dell’imputazione diretta dell’atto scientemente voluto, oppure si è volutamente ignorato il complesso di norme che regolano le conseguenze del proprio agire; se il diritto distingue tra dolo nel primo caso e colpa nel secondo, il precetto etico li accomuna quali entrambi conseguenza della stessa matrice volitiva (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, § 120).

In entrambi i casi è mancata la prudenza: nel primo, per aver voluto che la propria azione provocasse quel determinato risultato superando le conseguenze nefaste della propria azione (mancanza di prudenza nella valutazione della responsabilità) e, nel secondo, per aver ignorato le conseguenze del proprio agire (mancanza di prudenza nella valutazione degli effetti). Non azzardar l’impresa, pensa a salvare il padre impone il saggio Guglielmo Tell placando gli impeti al giovane Arnoldo, invitandolo a rimandare la sfida a Gessner dopo i festeggiamenti in corso poiché non s’unisca al piacere il dolor: il Rossini maturo, nella sua ultima opera lirica che schiude al Grand Opéra, ha le idee chiarissime ed affida il dramma di Schiller al suo baritono che trova la forza di scoccare il dardo sul capo del figlio solo quando questi gli si affida fiducioso perché confida nella prudenza del genitore.

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