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La povertà evangelica nella Chiesa delle origini

Papa Francesco richiama nel libro “Il cielo sulla terra” un pensatore francese degli anni Trenta. Emmanuel Mounier diceva che l’influsso importante del cristianesimo sulla civiltà europea è stato più un “effetto collaterale” della testimonianza dei primi cristiani che un piano preordinato; più la conseguenza gratuita di una fede vissuta semplicemente che l’esito di un programma culturale-politico elaborato a tavolino: “C’è sempre tra l’inizio e gli effetti una sorta di un percorso obliquo, sembra sempre che il cristianesimo produca effetti sulla realtà temporale come per sovrappiù, quasi talvolta per distrazione”. È quando il cristianesimo si radica nel Vangelo che dona il meglio di sé alla civilizzazione: “Infatti il cristianesimo dà di più all’agire esteriore degli uomini quando cresce in intensità spirituale, piuttosto che quando si perde nella tattica e nella gestione”. Naturalmente questa osservazione vale storicamente anche al negativo; lo abbiamo visto tante volte purtroppo: il cristianesimo perde il meglio di sé quando finisce per corrompersi e identificarsi con logiche e strutture mondane. “I discepoli per la prima volta in Antiochia ebbero il nome di cristiani”.

Negli Atti degli Apostoli si racconta così l’apparire in pubblico dei seguaci di Cristo. Già allora erano riconoscibili per il loro modello di vita, segnato in tutto e per tutto dal messaggio di Gesù, dall’eredità che aveva lasciato, prima di venir messo a morte dai romani. E su come si comportassero all’esterno, in una società ancora fortemente ostile, ne parla l’autore (si pensa fosse Marcione, un eretico gnostico) della famosa Lettera a Diogneto (doveva essere il maestro di Marc’Aurelio). I seguaci del Vangelo si differenziavano dagli altri uomini. “Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi…”. Era il II secolo. Fino a quel momento, il cristianesimo non era molto cambiato; era rimasto sostanzialmente la religione dei primi tempi, una religione di martiri, di confessori della fede e missionari. Ancora illegale, anzi, considerato addirittura sovversivo, perché totalmente all’opposto della religione romana, politeista, intrisa di paganesimo, sostenitrice della guerra, il cristianesimo aveva patito e continuerà a patire le persecuzioni – 250 anni di persecuzioni – degli imperatori romani. Prima, Nerone. Quindi, Decio. E più tardi, il più feroce di tutti, Diocleziano.

Eppure, in quel periodo, c’era stata via via una trasformazione nelle strutture del cristianesimo e nel ruolo degli stessi uomini che ne erano i maggiori responsabili. E cioè, si era verificata una progressiva “sacralizzazione” del ruolo svolto da vescovi, presbiteri e diaconi, rispetto alle semplici funzioni pastorali che costoro prima avevano, nel presiedere gli atti di culto o accompagnare la vita spirituale delle comunità. Fatto positivo, era stata messa su una organizzazione molto ben strutturata e molto capillare, radicata localmente. Fatto doppiamente negativo, anzitutto, era stato modificato l’”impianto” primitivo del cristianesimo che, sull’esempio di Gesù, era laico, e non prevedeva figure clericali di tipo istituzionale. Poi, di conseguenza, c’era stato un rafforzamento della gerarchia: e ciò, inevitabilmente, avrebbe comportato una autorità più rigida, chiusa; e, con l’autorità, un potere sempre più nelle mani di pochi; e, con un potere così, l’accentuarsi della distanza tra la classe sacerdotale e il popolo di laici, come pure il rischio di possibili episodi di corruzione. E difatti, proprio da allora, cominciarono a sorgere numerose sette ereticali, i cui adepti, come gli Apostoli, avevano scelto di vivere uno stretto ascetismo e la povertà evangelica con la comunione dei beni.

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