Il 23 ottobre 2015 Francesco esprime lo stesso concetto del suo maestro Angelo Giuseppe Roncalli. I tempi cambiano, anche i cristiani cambino. Senza paura e nella fede in Gesù. Alla messa celebrata alla Domus Santa Marta, prima dell’inizio della penultima congregazione generale del Sinodo sulla famiglia, ormai alle battute finali, Jorge Mario Bergoglio riconosce che non è facile capire i segni dei tempi, cosa vuole realmente dirci Cristo: troppo facile conformarsi, bisogna invece fare silenzio e osservare. E dopo fare una riflessione. E così i tempi cambiano e i cristiani devono cambiare continuamente, con libertà e nella verità della fede.
Francesco parla di una Chiesa che deve operare facendo attenzione ai segni dei tempi, senza cedere alla comodità del conformismo, ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Un’esortazione a camminare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma l’atteggiamento dei cristiani deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. I cristiani sono liberi per il dono della libertà che ha donato Gesù Cristo. Ma il lavoro dei cristiani è guardare cosa succede dentro, discernere i loro sentimenti e pensieri. E cosa accade fuori discernendo i segni dei tempi. Secondo Francesco, dunque, i tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando saldi nella verità del Vangelo.
Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili. In merito, Francesco ha citato il brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale, ha detto Francesco, predica con tanta forza la libertà che ha salvato l’umanità dal peccato. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei segni dei tempi dando degli ipocriti a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo. Dio ha creato gli uomini liberi e per avere questa libertà occorre aprirsi alla forza dello Spirito e capire bene cosa accade dentro e fuori il loro animo, usando il discernimento. Gli uomini hanno, secondo Francesco, questa libertà di giudicare quello che succede fuori di essi. Ma per giudicare devono conoscere bene quello che accade fuori da loro stessi.
Il primo Papa latinoamericano ha ripreso, fintanto ad assolutizzarlo, il metodo induttivo della “Gaudium et spes”. Si partiva, non più dal “centro”, ma dalle “periferie”; non più dall’Occidente, ma dalla tragica condizione dei poveri, dal Sud del mondo. E, da qui, leggere i “segni dei tempi”. E poi, cercare una soluzione cristiana ai nuovi problemi: come la difesa del creato, come l’esigenza di una fraternità e di una solidarietà universali. La dottrina morale non era più un sistema chiuso, arrivava a toccare temi prima tabù o solo sfiorati: come la possibilità di assumere un atteggiamento di accoglienza e di rispetto per le persone omosessuali.
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco: tre papi in qualche modo diversi. Chi guardava di più al cielo, e chi di più alla terra. Chi ha fatto progredire le aperture conciliari, chi meno, e chi invece sta tentando di svilupparle al massimo. Tre Papi diversi, anche perché – finito il monopolio italiano sul papato – provengono da Paesi diversi, da spiritualità diverse, da culture ed esperienze diverse. Il che potrebbe comunque rappresentare un grande arricchimento per la Chiesa universale, se dietro ci fosse un episcopato all’altezza del drammatico momento storico. E non, come invece è, impreparato tanto nella dottrina quanto nel governo pastorale, restio ai cambiamenti, e composto per lo più da schiere di manager, preoccupati solo di perdere potere, di non avere grane.
Per il Giubileo del Duemila, Giovanni Paolo II aveva chiesto a tutti i vescovi, come esame di coscienza, di far conoscere lo stato di attuazione del Vaticano II nelle loro diocesi, per ripartire da lì in vista di una “nuova evangelizzazione”; e nessun vescovo aveva risposto. Benedetto XVI si è impegnato a fondo per estirpare la piaga della pedofilia: tolleranza zero, numerosi vescovi dimissionati, controlli più stretti; ma a un certo punto ha scoperto che un intero episcopato, quello irlandese, aveva nascosto tutto per anni, intendendo così difendere l’”onore” della Chiesa. Per non parlare di Francesco, contrastato in ogni sua iniziativa da folti raggruppamenti episcopali. Per dirne solo una. Papa Bergoglio ha aperto le porte ai divorziati risposati che vogliono riaccostarsi all’Eucarestia; e invece, ignorando quanto c’è scritto in un documento pontificio, l’Amoris Laetitia, molti vescovi continuano ad imporre a queste coppie di astenersi dall’“intimità sessuale”, e quindi di vivere, pur sotto lo stesso tetto, “come fratello e sorella”. Qui, non si tratta più di un alternarsi tra cielo e terra, e neppure solo di una diversità di prospettive tra pontificati.
Qui, un cristiano entra in crisi. Già incontrava difficoltà a liberarsi da quell’insegnamento così legalistico, così moralistico, che i preti stessi gli avevano impartito. Ma adesso comincia a chiedersi se, questa Chiesa così poco “santa e immacolata”, sia davvero il luogo stabilito da Cristo per la vita di quanti credono in lui; o non sia invece, almeno nelle sue strutture, almeno nella classe che la governa, il risultato di una ideologia, o di una serie di elementi “difettosi” che le si sono sovrapposti a motivo della sua dimensione storica. E così, in quel cristiano, sconcertato, turbato, si allarga nuovamente il fossato tra fede e coscienza.