“In principio era il Verbo”. La Parola di Dio aleggiava sulle acque prima della creazione del mondo. Con la Parola Dio creò l’universo. Questa parola volle rivolgere all’uomo, vertice e culmine del creato, a cui il Creatore volle donare un rapporto di amicizia, reiterato anche dopo la caduta. Poi ci fu il popolo eletto a cui Dio donò la legge promettendo di seminarla nel cuore e chiedendo che venisse trasmessa di generazione in generazione: “Inculcalo ai tuoi figli, Israele. Parlane in casa, quando cammini per la strada, quando ti corichi e ti alzi” (Dt 6,7). Israele trasmise oralmente la Parola ricevuta e, solo quando la situazione lo rese necessario per il rischio di una perdita della memoria o per il proliferare di interpretazioni, la legge orale fu scritta (Mishnah).
“E il Verbo si fede carne”. Anche i cristiani, dopo la risurrezione di Gesù, trasmisero oralmente la buona notizia, il kerigma: “Gesù Cristo, ha vinto la morte. È risorto e ci dona la Vita eterna!”. Di casa in casa, di piazza in piazza, di bocca in bocca l’annuncio si trasmise oralmente e la fede raggiunse i confini del mondo conosciuto contagiando popoli più lontani.
Presto anche per i cristiani si rese necessario l’uso della scrittura: le lettere degli apostoli alle comunità sparse per il mondo, i racconti della vita di Gesù, le rivelazioni e le testimonianze dei martiri. I testi codificavano la fede e permettevano di raggiungere una comunità sempre più numerosa ed estesa. I testi scritti permettevano inoltre di fissare le verità di fede contro il proliferare delle eresie, le libere interpretazioni, i travisamenti e le strumentalizzazioni.
La Chiesa, lungo la sua storia ha pubblicato molti e diversi testi dottrinali: innanzitutto i Simboli della Fede della Chiesa primitiva, nucleo dell’annuncio degli apostoli; poi i documenti conciliari e papali, e altri documenti che fissano i contorni della fede. A molti è sembrato un’opera di codificazione eccessiva. Che ne sarebbe stato della tradizione orale che trasmette uno spirito che è al di sopra della lettera? L’accusa di formalismo ha raggiunto il suo culmine con la pubblicazione, avvenuta nel 1992, del Catechismo della Chiesa Cattolica ad opera del cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede al tempo di Giovanni Paolo II. Il catechismo si presentò come una sintesi organica della fede cattolica, dei suoi contenuti, di ciò che i cristiani sono tenuti a credere come vero perché rivelato e creduto fin dalle origini della Chiesa.
Molti criticarono l’opera con l’accusa di rigido formalismo e centralismo. Il Catechismo appariva loro come un sistema chiuso che inibiva la libertà della teologia e tagliava le ali ai teologi. Accuse arrivate dall’area più progressista che poco amava il lavoro della Congregazione per la dottrina della Fede considerandola contraria al “vento dello spirito” inaugurato dal Concilio Vaticano II.
L’idea di promulgare una sintesi completa della fede cattolica nacque nel XVI secolo come risposta alle eresie di Martin Lutero che a sua volta aveva elaborato un catechismo contenente, dal punto di vista cattolico, errori dottrinali e sviste teologiche. Il Concilio di Trento (Pio V) rispose con un catechismo ad uso dei fedeli che rischiavano di confondersi o mettere in dubbio alcune importanti verità di fede. Nel 1905 papa Pio X pubblicò un catechismo per la diocesi di Roma, conosciuto come “Catechismo Maggiore”. Una sintesi della fede in forma di domande e risposte che per molti anni fu di riferimento per parroci e fedeli anche fuori dalla diocesi di Roma.
Il catechismo del 1992 si colloca dunque sulla scia di questi storici catechismi con l’intento di stabilire (o ristabilire) la retta fede e combattere così errori e deviazioni dottrinali. Ed è proprio in questo senso che l’opera diventa oggi imprescindibile non solo per gli addetti ai lavori (incaricati dell’istruzione dei fedeli) ma anche per i fedeli stessi. In un contesto di relativismo dottrinale e morale in cui la verità ha perso ogni prerogativa per lasciare spazio alla libera interpretazione della fede, il catechismo diventa come una pietra miliare, una base solida sulla quale poggiarsi, una fonte sicura per le verità di fede che illuminano la comprensione di Dio, dell’uomo e del mondo.
In un periodo in cui aumentano i dubbi sulla fede della Chiesa, in particolare sui temi più sensibili, e proliferano le interpretazioni (spesso frutto di libere riletture, acrobatiche e strumentali) del Vangelo, il Catechismo continua l’opera di trasmissione della fede così come fu concepita fin dagli inizi. Il termine deriva infatti dal greco katechéo (“istruzione orale”, kata + echos).
Tante sono state in questi anni le dichiarazioni erronee (anche da parte di vescovi, sacerdoti e teologi) su temi importanti quali l’esistenza di Satana, l’Eucaristia, la Vergine Maria, il celibato ecclesiastico, il matrimonio, la sessualità (dall’omosessualità alla contraccezione). Temi sui quali il Catechismo non lascia spazio a libere interpretazioni. Per questo nelle case dei fedeli il Catechismo non dovrebbe mancare per poterlo consultare e trovare chiarezza sugli aspetti fondamentali della dottrina cattolica.
Nel tempo si sono moltiplicati sia i commenti che le versioni ridotte, segno della grande diffusione del Catechismo a tutti i livelli. Dal Compendio, alla collezione Youcat dedicata ai giovani, fino ai molti sussidi per i fedeli di ogni età e condizione. Ultimo in ordine di tempo il nuovo libretto del teologo italiano don Lorenzo Rossetti “La Verità che salva. Catechismo della Chiesa in (estrema) sintesi” (Elledici 2023).
Nel libro intervista “Ultime conversazioni” (2016) Benedetto XVI rispondendo ad una domanda del giornalista Peter Seewald spiega come nacque l’idea del Catechismo: “Sempre più persone si domandavano: La Chiesa ha ancora una dottrina comune? Anzi, C’erano persone molto valide che sostenevano che un catechismo non si potesse più fare. Erano vere e proprie correnti di pensiero. Io obiettai: o abbiamo ancora qualcosa da dire, e allora bisogna poterlo illustrare, o non abbiamo più niente da dire. Così sono diventato un pioniere di quell’idea, nella convinzione che noi anche oggi dobbiamo essere in grado di dire quello che crede e insegna la Chiesa”.
Fu così che il cardinale Ratzinger divenne bersaglio di coloro che criticavano l’iniziativa nel nome della libertà di espressione in ambito dogmatico. In un articolo pubblicato nel 2002 intitolato “Attualità dottrinale del Catechismo della Chiesa Cattolica dopo dieci anni dalla sua pubblicazione” (disponibile online) Ratzinger difese l’opera dalle accuse più frequenti nel dibattito teologico (ad esempio sull’utilizzo dei testi biblici nel Catechismo, sui sacramenti e sulla morale), mentre segnalava la ricchezza del testo, i temi trasversali che lo attraversano e il suo stretto legame con le intuizioni del Concilio Vaticano II. Lo scopo del Catechismo – scrisse Ratzinger – “è la formulazione dottrinale della fede sviluppatasi nella Chiesa; è un annuncio della fede e non una teologia”. Non dunque un sistema teologico ma la testimonianza della Chiesa che trasmette ciò che ha ricevuto e l’annuncio di una verità che ci precede”.
“Chi ricerca nel Catechismo un nuovo sistema teologico o nuove sorprendenti ipotesi, sarà deluso. Questo tipo di attualità non è preoccupazione del Catechismo. […] L’attualità del Catechismo è l’attualità della verità nuovamente detta e nuovamente pensata. Questa attualità resterà tale ben al di là dei mormorii dei suoi critici”.