Tra i tanti interrogativi che la nostra epoca si pone quotidianamente, c’è sicuramente una domanda che attende da troppo tempo una risposta: “L’uomo di oggi è ancora capace di perdonare?”. Capita raramente di ascoltare, nei vari “salotti televisivi”, o di leggere sui media il parere di esperti e studiosi sull’importanza del perdono e soprattutto del saper perdonare. Siamo tutti pronti a sfidare il mondo intero pur di aver ragione, pur di difendere le nostre idee, il nostro pensiero, i nostri atteggiamenti e comportamenti, giusti o sbagliati che siano; e poco importa se, nel fare ciò, calpestiamo i diritti e i valori che ogni singolo individuo possiede.
In questi ultimi anni il cammino (il progresso?) dell’umanità ha subito notevoli cambiamenti e trasformazioni in ogni settore della vita, da quello politico a quello economico, da quello culturale a quello tecnologico, dal modo di scrivere all’intelligenza artificiale, e in quello sociale: infatti i rapporti tra le persone sono decisamente diversi da quelli di un tempo. Sembra quasi emergere nell’animo umano una voglia di rancore: un voler fare vendetta, per rispondere a qualche torto o ingiustizia subita…
Viene da domandarci come sia possibile, visto i continui fatti di cronaca, ai giorni nostri perdonare, e per di più addirittura dimenticare; infatti il perdono chiesto e concesso, il gesto civile di chiedere scusa, (una parola quasi sparita dal vocabolario dell’essere umano) offerto ed accettato, non hanno il potere magico di far dimenticare.
È vero! Se dimenticare significa non sentire l’amarezza, l’umiliazione subita, soffocare la diffidenza e la paura per nuove eventuali drammatiche esperienze, ciò è impossibile; specialmente quando se ne portano addosso le conseguenze a lungo o per tutta la vita sulla propria pelle. Ma se perdonare vuol dire non odiare, non maledire, non godere delle pene inflitte al colpevole e attendere che la giustizia compia il suo naturale corso, allora è possibile, anche se tanto sofferto; è un atto dignitoso per qualunque essere umano.
Per il cristiano è un dovere. Nel Vangelo Gesù, attraverso parabole, che si rivelano veri esempi di vita e modelli di comportamento, più volte fa comprendere a quanti lo seguono e lo ascoltano l’importanza e il valore di saper perdonare. Basterebbe ricordare lo stupendo episodio del figliol prodigo, o la condizione umana e particolare vissuta dall’adultera, nonché la vicenda del servo a cui il re aveva condonato un debito. Sono tutte situazioni che rispecchiano la fragilità dell’uomo, pronto più a condannare e giudicare, che a perdonare. E lo stesso Cristo, dall’alto del Golgotha, quando stava giungendo la sua ora, non ha perdonato i suoi crocifissori? Gesù ci chiede di perdonare “settanta volte sette”, cioè all’infinito; in questo modo riusciremo ad essere più vicini a Dio.
Dobbiamo, quindi, imparare a perdonare subito. E’ un gesto autentico che diviene amore, che dà ancora più forza alle espressioni di Cristo, è un invito alla bontà, al superamento delle offese ricevute, al rifiuto di ogni forma di vendetta o violenza. Per amare veramente bisogna saper perdonare. Nulla sembra tanto contrario alla natura dell’uomo quanto l’elargizione del perdono, eppure proprio questo gesto può essere necessario per restituire alla persona la sua integrità e conferire in pieno la libertà di amare.
Non per nulla il perdono è la forma più alta di dono. Non è solo un sentimento, è un atto della volontà. Non comporta la passività del dimenticare, ma una memoria viva in grado di ricostruire e ricominciare daccapo.
Scriveva Anthony De Mello (1931-1987) gesuita e psicoterapeuta indiano: “Perdonare significa ricordarsi di dimenticare”.