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Perché le polemiche sul ricordo delle Foibe hanno scosso gli studenti

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A scuola proviamo quotidianamente ad abbattere le diseguaglianze, a valorizzare le differenze, a costruire relazioni, a leggere la storia da più prospettive, ad affrontare il presente con senso critico e a fare aderire il più possibile ciò che si studia con la realtà. Non sempre ci riusciamo, spesso solo in parte, tuttavia ci sforziamo di piantare semi i cui frutti maturi un giorno raccoglieranno altri. Ci sono occasioni in cui sottolineiamo alcuni temi particolari, per esempio nelle diverse “giornate mondiali per…” e nei “giorni della memoria”, facendo sì che non ve ne siano di serie A e di serie B: così è stato per il ricordo della Shoah e delle Foibe.

Gli studenti sono più sensibili di quanto pensiamo e dunque sono rimasti colpiti dalla polemica suscitata dalla circolare del Miur, relativamente a questo passaggio: «Il “Giorno del Ricordo” e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la “categoria” umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla “categoria” degli ebrei. Con una atroce volontà di annientamento, mai sperimentata prima nella storia dell’umanità. Pochi decenni prima ancora era toccato alla “categoria” degli Armeni (…)».

I ragazzi si sono giustamente chiesti perché alcune forze politiche, l’Associazione Nazionale Partigiani, l’Unione delle Comunità Ebraiche abbiano protestato e chiesto rettifiche al Ministro Bianchi, quando hanno visto al contempo le celebrazioni pubbliche ed istituzionali anche alla presenza del Presidente della Repubblica. Davvero vogliamo mandare in corto circuito le giovani generazioni in un periodo già molto difficile? È proprio necessario dividersi pure sulle tragedie e sui morti? Non discutiamo qui su chi abbia ragione o meno, poiché la coperta è molto corta e facile da tirare a piacimento lasciando sempre qualcosa di scoperto, bensì sulla non opportunità di strumentalizzare queste giornate in modo ideologico o partitico, ponendosi un po’ come vittime e po’ come vincitori. Tutte le parti in campo si comportino da adulti responsabili e non “giochino” con la storia, con chi ha sofferto atrocemente, con i defunti, ma ancor più non alzino reciproci muri quando ci sono di mezzo bambini, ragazzi, adolescenti e giovani in formazione!

Ciò non significa nascondere le ragioni degli uni o le motivazioni degli altri, semmai si tratta di affrontarle nelle sedi e nei modi opportuni, lontani dal clamore e dai riflettori. In un Paese ferito, creare una frattura in un giorno del ricordo è certamente mettere il dito nella piaga, chiunque l’abbia fatto, sia che abbia scritto un obbrobrio nella circolare ministeriale sia che l’abbia contestata nel bel mezzo delle celebrazioni. In entrambi i casi non si onorano i morti, non si aiuta nessuno a fare memoria, si sollevano dubbi, quest’ultimi forse pure opportuni tuttavia pericolosi quando si dovrebbe puntare sulla riconciliazione. Quelle stragi, quegli eccidi, quei massacri sono stati frutto dell’odio, qualunque sia la fonte, ma pur sempre odio! Per vincere l’odio non basta conoscere la storia, gli antefatti, le cause prime e ultime, tant’è vero che ancora oggi si ripetono nel mondo, spesso nel silenzio complice di chi ha memoria solo delle proprie parti colpite; per vincere l’odio non basta neanche la memoria se è gestita come una proprietà privata; l’odio si vince quando la storia e la memoria ci insegnano qualcosa, ci aiutano a perdonare e a chiedere perdono, ci preparano a saper dire ed essere “mai più”!

Marco Pappalardo: