All’origine del mondo la tradizione biblica pone il primo atto di disubbidienza dell’uomo alla volontà di Dio che lo aveva creato: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti (Gn 2,16-17).
Ci si è sempre interrogati sulla portata di questa richiesta di Dio rivolta all’uomo ed in particolare sulla ragione per cui Dio avrebbe voluto tenere l’uomo all’oscuro della conoscenza del bene e del male, dando vita all’idea che giustifica e legittima la scelta dell’uomo di apprendere. Sembrerebbe, cioè, che il Creatore abbia voluto tenere lontano la sua creatura dagli scopi della vita impedendogli di accedere ai suoi segreti più profondi. Una lunga corrente di pensiero ha percorso l’intera storia della filosofia osservando la natura e cercando di carpirne i significati per giungere alle risposte fondamentali dell’uomo: da dove veniamo e dove andiamo. Ho già scritto dei meriti e dei limiti dell’evoluzionismo darwiniano; se è indiscutibile frutto della osservazione della specie coglierne la sua evoluzione in senso utilitaristico (sopravvive solo chi è dotato di mezzi adeguati idonei a fare le scelte utili), rimane ancora irrisolto l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia e, soprattutto, è ancora imprevedibile la meta.
A ben vedere però il comando di Dio di non attingere ai frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male potrebbe tradursi nell’invito rivolto all’uomo di non cercare tra i frutti dell’albero poiché non è dalle leggi naturali che proviene la risposta; forse la conoscenza del bene e del male non sta nella catena alimentare o tra le leggi della sopravvivenza, entrambe regolatrici della biologia e delle altre scienze naturali; forse il mondo non è quello che vediamo (e la scienza oggi ne dà le prove) ma la nostra osservazione della natura è falsata dalla nostra posizione all’interno della scena osservata, addirittura influenzandola per la relazione che si crea tra soggetto ed oggetto. Forse Dio aveva ragione: non guardate lì, ne morirete.
Cosa successe? La donna, che non aveva ricevuto il comando perché creata subito dopo, si lasciò tentare dalla più infida delle bestie ed ignara offrì al suo sposo la scoperta; fu Adamo che scelse di credere a lei e non al Dio che lo aveva creato e disobbedì, compiendo il peccato originale. In quel momento conobbe il bene ed il male, prese coscienza cioè che poteva disobbedire al suo Creatore, poteva non osservare le regole, poteva scegliere tra il bene ed il male.
Il discernimento è la chiave di volta che manca all’evoluzione darwiniana poiché le specie animali e vegetali, osservate da Darwin, si evolvono nell’unica direzione a loro consentita, quella della loro conservazione, da cui deriva il loro miglioramento: se il cibo è collocato in alto vivranno solo quelli che arrivano a coglierlo e la selezione naturale si raffina. Nessun animale o nessuna specie vegetale sceglie: non sa, non discerne. Si muove a senso unico. Allora la conoscenza del bene e del male non sta nella natura ma fuori di essa, come Dio aveva avvertito.
Al discernimento Papa Francesco ha dedicato un’apposita Esortazione apostolica, Amoris letitiae, pubblicata nel marzo 2016 durante l’anno giubilare della misericordia, richiamando l’importanza dell’amore nella famiglia; il sinodo vescovile dell’ottobre 2018 ne ha incentrato la riflessione sulla sua dimensione come atteggiamento e metodo piuttosto che come semplice scelta, richiamando l’insegnamento paolino vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono (1Ts 5,21) poiché il discernimento proviene dallo Spirito Santo e non è il dono di saper scegliere ma è esso stesso il dono in quanto assunto a metodo di valutazione di ogni vicenda piuttosto che di ogni evento.
Ecco la direzione, suggerita in un commento al mio intervento precedente: saper distinguere tra bene e male è dono dello Spirito riservato non solo ai credenti; è il cuore nuovo al posto del cuore di pietra (Ez 18,31), è il capovolgimento del punto di vista per la valutazione delle azioni (Mt 15,11); la risposta non è nella natura ma nell’uomo, non viene dalla ragione ma dal cuore.