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La parola chiave per uscire da una pandemia

Per uscire da una pandemia la parola-chiave è vaccinazione. Due mesi fa qualcuno ripropose pubblicamente l’azzardata previsione di un’imminente conclusione dell’emergenza Covid. Eravamo a metà agosto e in realtà quelle che vedevamo due mesi nei confortanti dati dei contagi e dei ricoveri non corrispondeva alla totalità dei casi di coronavirus perché si stava facendo da un quarto a un quinto di test in meno rispetto alle settimane precedenti. All’incirca 70 mila contro i 300 mila. Meno test si fanno, meno casi si rintracciano.

Il numero dei casi, dunque, era sottostimato. Ma le ospedalizzazioni non sfuggivano ed erano in incremento. Il virus ad agosto stava circolando soprattutto tra i giovani, persone che hanno una socialità più spiccata e perciò maggiormente esposte alla variante Delta che contagia più velocemente delle altre. Ecco allora il corto circuito: anche se si tratta di giovani che vanno incontro a forme meno gravi di Covid, quando il numero cresce non mancano i casi di ospedalizzazione e malattia nelle forme più severe. Era evidente in estate che così come nei mesi precedenti l’attenzione era centrata sugli anziani, era arrivato il momento di proteggere i ragazzi con una importante campagna vaccinale.

Sarebbe stato utile tenere in considerazione il modello matematico sviluppato da alcuni esperti, secondo i quali a metà agosto gli oltre 4 milioni di italiani guariti dal Covid erano in realtà (tenendo conto degli asintomatici guariti non individuati che non erano entrati a far parte dei dati) circa 13 milioni e 200 mila. Un numero che, sommato a quello dei vaccinati, porta ad avere il il 70-75 per cento della popolazione protetta dal virus. Erano stime matematiche, ma così come i dati Istat hanno dimostrato che i decessi per Covid sono stati in numero maggiore di quelli registrati, le proiezioni indicavano già due mesi fa che la copertura era alta.

Quindi il virus circolava e circola ancora oggi soprattutto tra i non protetti, ed è lì che bisogna intervenire. Ciò premesso, va però riconosciuto che non sempre l’informazione sui vaccini è stata completamente corretta soprattutto per quel che attiene il rischio di manifestazioni trombotiche (anche gravi) legato ai vaccini a Dna con vettore adenovirale. A mio giudizio, l’informazione, che pure doveva essere necessariamente fornita dalla comunità scientifica e dagli organismi regolatori, ha avuto una eccessiva cassa di risonanza. Non esistono infatti vaccini (così come non esistono farmaci) esenti da rischio.

La comunicazione avrebbe dovuto essere rivolta in maniera più decisa a far comprendere i vantaggi della vaccinazione in termini di sanità pubblica, richiamando l’attenzione sui benefici che una vasta popolazione avrebbe ricevuto a fronte di un bassissimo rischio per il singolo individuo. In altre parole, il concetto di “tailored medicine” o “medicina di precisione”, che rappresenta un’innegabile acquisizione di questi ultimi anni in molti campi della medicina, non è applicabile in corso di pandemia, quando ci viene richiesto di ragionare su grandi numeri e non sui singoli individui.

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