Ho visto un video divertente in cui si racconta che un direttore generale di una grande impresa, avendo ricevuto un invito ad assistere alla esecuzione della Sinfonia n. 8, Incompiuta, di Schubert, lo ha ceduto al direttore del personale, giovane rampante in possesso dei titoli oggi in gran voga; al mattino dopo, chiesto di come fosse andata la serata, si è sentito preannunciare una relazione in cinque punti: 1) gli oboe non facevano nulla per gran parte del tempo e si potevano eliminare; 2) i violini ripetevano tutti la stessa nota per cui si potevano ridurre; 3) era inutile che i fiati ripetessero le note già suonate dai violini; 4) applicando le riduzioni, la durata del concerto sarebbe stata minore; 5) se Schubert avesse tenuto conto di queste osservazioni avrebbe completato la sua opera.
La parodia del tempo in cui viviamo è garbata quanto tragicamente vera: assistiamo ad una esasperazione dei criteri economici di efficienza e produttività dimenticando completamente la persona umana e tutto ciò che ruota intorno ad essa. E il problema non è attuale ma risale ai decenni passati (che ho vissuto) e forse anche a quelli precedenti, in cui non c’ero. Ricordo quando si parlava dell’alienazione dell’operaio alla catena di montaggio e si salutò favorevolmente l’introduzione di macchine che avrebbero alleviato tali ritmi insopportabili ma poi si è scoperto che le macchine hanno rubato il lavoro degli uomini giacché invece di recuperare le risorse umane ad attività più dignitose si è valorizzato il criterio della economicità produttiva, proprio sulle spalle dei lavoratori, facendone a meno per ridurre i costi.
E così in ogni settore: la liberalizzazione ha riproposto la repressione, la tolleranza è degenerata in abuso, la concessione dei diritti ha provocato l’inefficienza ma certo non può dubitarsi della bontà delle riforme introdotte con la spinta della contestazione, tra cui quella giovanile; né tanto meno può semplicisticamente attribuirsi la negativa evoluzione ai difetti delle persone: è costante l’attribuzione delle colpe ai sindacati che hanno difeso i diritti dei lavoratori ed hanno distrutto il lavoro.
Ma, superata l’approssimazione populistica, si scopre che non è affatto così ed anzi al sindacato va riconosciuto il merito della coscienza dei lavoratori che sono cresciuti insieme all’azienda, annullando l’odiosa differenza di classe tanto che oggi finalmente ogni lavoratore ha conseguito la propria dignità, non solo giuridica e professionale ma anche, e soprattutto, sociale.
E dov’è il problema allora, posto che l’inefficienza è evidente ed i metodi per combatterla oramai sono improntati alla produttività? Il problema è proprio in questa, nella produttività, nella efficienza, nel minor costo col massimo profitto. E dove, altrimenti?
Ci sono paesi nel mondo in cui il costo del lavoro è irrisorio in quanto non ci sono regole di rispetto dei diritti primari dei lavoratori, cui corrisponde un necessario costo: se il lavoratore viene costretto al lavoro per molte ore senza riposo e senza soste e retribuito al di sotto del minimo di sopravvivenza il costo del prodotto sarà certamente inferiore e se il mercato lo assorbirà perché venduto ad un prezzo ridotto, il guadagno del produttore sarà assicurato. Ovvio.
In Italia non si può fare perché le leggi vietano lo sfruttamento del lavoratore; ma in altri paesi? Facciamo finta di non vedere mentre dovremmo impedire l’importazione se non quando siano garantiti i diritti dei lavoratori in maniera analoga. È altrettanto ovvio ma non si fa, perché non conviene, ovviamente ai produttori, non certo ai lavoratori di nessuna parte del mondo. Ma si ribatte che lo chiede il mercato perché tutti vogliono tutto e ad un prezzo minimo. Eppure non è vero poiché nessuno è interessato ad un prodotto scadente; è solo il venditore che lo impone per far girare il mercato ed il suo profitto.
Torniamo a Schubert. L’efficienza, la produttività, il ribasso dei costi, la possibilità di fare tutto ma in maniera talmente scadente è la negazione della possibilità: meglio dedicarsi a quanto sia concretamente possibile secondo le possibilità di ciascuno di realizzare i propri desideri in modo da garantire che l’orchestra suoni la musica vera ed autentica, anche se la Sinfonia non sarà compiuta. Almeno la parte composta sarà gradevole e forse anche un capolavoro.