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Paolo VI, il traghettatore della Chiesa conciliare

Foto © Vatican News

Papa riformatore e traghettatore della Chiesa nella modernità. Paolo VI, nato Giovanni Battista Montini il 26 settembre 1897 a Concesio (BS), è stato ordinato sacerdote nel 1920 e ha poi intrapreso una carriera diplomatica presso la Santa Sede. Ha servito come arcivescovo di Milano dal 1954 al 1963, prima di essere eletto papa dopo la morte di Papa Giovanni XXIII. San Paolo VI è ricordato per il suo ruolo cruciale nel Concilio Vaticano II: un evento che ha portato significative riforme nella Chiesa cattolica promuovendo il dialogo ecumenico, la liturgia rinnovata e una maggiore apertura alla modernità. Ha affrontato questioni sociali ed etiche, svolgendo anche un ruolo significativo nella promozione della pace e solidarietà mondiale. Per quest’ultima causa, ha pronunciato discorsi importanti alle Nazioni Unite.

Paolo VI è stato, inoltre, il primo papa a compiere viaggi apostolici internazionali, incontrando leader religiosi e politici, con l’obiettivo di diffondere il suo messaggio di pace e fratellanza. Papa Paolo VI è stato proclamato santo il 14 ottobre 2018 da papa Francesco che, in occasione del 50° anniversario dell’inaugurazione della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, ha incontrato maestri provenienti da tutto il mondo, proprio sulla scia di san Paolo VI nel 1964. Papa Francesco ha ricordato l’amicizia tra Chiesa e artisti definendola naturale perché questi ultimi ”prendono sul serio la profondità inesauribile dell’esistenza, della vita e del mondo, anche nelle sue contraddizioni e nei suoi lati tragici”; e speciale per i ”molti tratti di storia percorsi insieme”. Aperto da Giovanni XXIII, il Concilio è stato condotto in porto da Paolo VI. Il Vaticano II rivelò una Chiesa diversa da com’era stata fino ad allora guardata, giudicata. E diversa, specialmente, per come adesso intendeva essere presente sui molteplici fronti dell’umanità: la famiglia, il lavoro, la giustizia, la scienza, la guerra e la pace. Era la nuova Chiesa plasmata dall’altra grande costituzione, la “Gaudium et spes”.

Quella che, già nel suo esordio, esprimeva il mutamento radicale operato dalla Chiesa nel suo rapporto con il mondo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore…”. Di fatto, la Chiesa non solo dichiarava di non avere il monopolio assoluto di ciò che è umano, ma riconosceva addirittura di avere qualcosa da apprendere dai progressi dell’umanità. E soltanto più tardi si capì l’importanza fondamentale di questo cambio di rotta. Lo si capì scoprendo che il Vaticano II aveva preparato la Chiesa ad affrontare, pur senza averle potute oggettivamente prevedere, le grandi sfide e le grandi emergenze nel passaggio tra il XX e il XXI secolo.

Non si può dimenticare il grande e spesso decisivo contributo che i Papi e la Santa Sede hanno dato, in anni così difficili, in difesa della giustizia e della pace nel mondo. Un contributo segnato dalla credibilità, dall’autorevolezza, proprio perché discendeva da un Concilio che aveva riportato la Chiesa tra gli uomini, e l’aveva liberata da secolari compromissioni mondane, ne aveva accentuato l’afflato evangelico.

Gianfranco Svidercoschi: