Sentiamo spesso invocare una celebre frase che identifica Dio con la natura: l’autore ne fu Baruch Spinoza, filosofo olandese del Seicento, ebreo di nascita e di formazione ma espulso con infamia dalla comunità, per decreto delle autorità religiose, in conseguenza del suo pensiero circa l’immanenza di Dio nella natura e la sua negazione del Dio come persona, che invece riteneva corrispondere interamente alla natura tanto da rendere intercambiabili i due concetti: Deus sive Natura (Dio ovvero la Natura). Spinoza si lasciò trascinare dal razionalismo cartesiano, anche se prese le distanze da costui accusandolo di aver separato il pensiero dal corpo (cogito ergo sum) nel mentre la realtà era composta di una sola sostanza, unica, indivisibile ed autosufficiente, in cui Dio si manifestava interamente, concretamente ed eternamente. E tale percezione non derivava dai sensi (come aveva dibattuto Hobbes) ma dall’intuizione, frutto dell’attività dell’intelletto: l’uomo, quindi, fatto di corpo e mente, era in grado di comprendere l’esistenza di Dio che si manifestava nella natura. Le immediate conseguenze di questa impostazione sulla conoscenza della verità hanno allontanato in Spinoza l’immagine di un Dio persona dotato della volontà di operare il bene, in contrasto con la tradizione ebraica, avendo reso invece automatico e necessario il meccanismo della natura, che opera secondo le proprie leggi ed in esse affermava l’esistenza di Dio. Quale allora la condotta dell’uomo, ridotto a mero espediente naturale privo di volontà?
Spinoza vede nell’istinto di conservazione la spinta morale delle azioni umane e, valorizzando le passioni quali espressioni delle emozioni, giunge a distinguere nell’uomo la volontà di compiere ciò che gli dà piacere, soddisfazione e gioia in relazione alla sua conservazione, bene primario a cui è rivolto. Ed è la ragione che indica all’uomo le strade che avvicinano al bene ed allontanano dal male, la cui percezione è invece affidata alle emozioni: attraverso la ragione, che Spinoza definisce adeguata a conseguire l’utilità del piacere e della gioia in contrasto con l’insoddisfazione derivante dall’assenza del bene, l’uomo si pone in relazione con altri uomini e si consolida nella società, in cui trova non solo i propri simili ma anche i diversi, con i quali allarga il proprio orizzonte sensibile e quello razionale, giacché è la ragione, rivolta verso l’unico concetto di bene, che accorda le diverse sensibilità emotive dei singoli membri.
Questo è il grande messaggio che deriva dall’etica di Spinoza, a cui perviene analizzando le condotte dell’uomo in relazione alla ricerca del bene. Ma le conclusioni a cui giunge il filosofo incontrano il limite nel suo stesso determinismo, inteso come necessità delle azioni e delle conseguenze che secondo le leggi della natura sarebbero inevitabili, sulle quali l’uomo non riesce ad interferire ma può solo partecipare più o meno
intensamente in considerazione della sua finitezza, da cui dipende l’imperfezione della propria attività. Dovremo attendere Kant e l’idealismo per riportare l’uomo al centro della speculazione con la visione antropocentrica.
Nondimeno, il pensiero occidentale resta debitore al grande filosofo olandese non solo per l’apertura allo scientismo, mediante l’analisi delle leggi della natura e per la valorizzazione dell’attività razionale che, superando il dualismo di Cartesio, ha dato ingresso all’illuminismo, ma per l’approfondimento del comportamento dell’uomo di fronte alle leggi della natura, alla continua ricerca della perfezione, sia pure irraggiungibile, nel compimento del bene e nell’allontanamento del male attraverso una razionale selezione delle proprie passioni ed emozioni per liberarsi dalla schiavitù dei pregiudizi.