Aumentano i casi di Covid 19 in Italia e cresce anche la paura nei confronti del coronavirus. In realtà, a preoccuparci deve essere l’angoscia. La paura, infatti, è un ottimo meccanismo di difesa che aiuta l’uomo a fronteggiare i pericoli ed ha un oggetto determinato. L’angoscia no. Freud e Heidegger divergono su molti aspetti ma convergono in tema di angoscia: questa costituisce il nulla, che crea apprensione perché non offre punti di riferimento.
L’angoscia si stanzia in ciascuno in maniera profonda perché misconosce le cause della sua esistenza. Invade l’interiorità perché è immagine del non conosciuto. Se in una guerra si ha contezza di chi sia il nemico, nel Covid non lo si conosce. Il pericolo è ovunque. Il senso di impotenza sale perché non si sa dove si trovi realmente il nemico. In tal senso le reazioni sono tante. L’angoscia può provocare reazioni deliranti. I negazionisti ne sono una dimostrazione reale. Le componenti irrazionali prevalgono, in questi ultimi, in maniera preponderante. Fare “squadra” per difendersi diviene, quindi, per i negazionisti, un modo per non affrontare l’angoscia e trincerarsi dietro un “non esiste” che ha l’aria di una resa senza insight, di una negazione senza consapevolezza, ma con l’unico intento di ferire coloro che vogliono seminare ancora terrore psicologico e minare la loro apparente tranquillità.
Ciò non deve stupire se si pensa che ancora oggi il 15,6% degli italiani nega la Shoah (dati Eurispes). Con il Covid accade qualcosa di simile in chi fatica ad entrare in contatto con i propri oggetti interni e a risolvere la relazione con il proprio Io più profondo. In tale prospettiva, di grande saggezza si rivelano le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale sostiene: “Non bisogna confondere la libertà con il diritto di far ammalare gli altri. Imparare a convivere con il virus non vuol dire comportarsi come se non ci fosse più”. È proprio così. Il virus c’è e va affrontato, con i giusti mezzi. Frankl sosteneva come non ci possa essere libertà se non c’è responsabilità.
“Responsabilità” è la parola chiave per affrontare il periodo di convivenza con il virus. L’isolamento ha condotto ad una “reazione all’opposto”, ovvero, in linea con quanto suddetto, a una negazione del pericolo. Un atteggiamento diffuso soprattutto tra i più giovani. Il comportamento delle persone, in generale, sembra oscillare tra l’eccessiva prudenza e la minimizzazione del rischio. Si ha, così, il fenomeno della “conversione all’opposto”, ossia l’importanza di riprendersi i propri spazi dopo aver fatto grossi sacrifici sin qui. Si sta innescando inoltre il famoso “modellamento relazionale al contrario”, spesso, in tal caso, come accade con le mascherine. Se qualcuno non le indossa quando dovrebbe, tutti tendono a non farlo.
È necessaria una protezione che avvenga in modo responsabile. Stare lontani dal panico come dalla faciloneria: occorre una sana vigilanza. Non si deve rinunciare alle attività preferite, basta rispettare le norme. Si deve prevenire un possibile crollo psicologico da recidiva, dato il nuovo attacco del virus. Dopo un primo episodio, quali un terremoto, l’attacco di un virus, ecc., si pensa di riuscire a gestire la situazione dal punto di vista emotivo, mentre al secondo “attacco” arriva facilmente un crollo psicologico. Occorre essere preparati, pronti. Bisogna essere flessibili e adattabili per imparare a vivere con questa “nuova normalità”.
Ma non è facile. Anzitutto, sarà importante conservare quanto più possibile un buon grado di struttura alla giornata: mantenere un senso di ordine e familiarità all’esistenza, con regolarità di ritmi e aspetti di base della vita quali alzarsi, vestirsi normalmente, mangiare, e andare a dormire all’ora abituale. Molto rilevante è il tempo dedicato alla regolazione dell’attività fisiologica. In tal senso, le attività legate al rilassamento sono consigliate. Lo stress, caratterizzato dalla fase di allarme, di resistenza e di esaurimento, potrà essere gestito, nella prima fase attraverso tecniche funzionali a prevenire ulteriori problematiche favorendo la resistenza dei meccanismi di difesa propedeutici ad evitare l’esaurimento delle energie fisiche e mentali.
In tale ottica, molto importante è anche l’attività fisica. Correre è salutare per l’intero corpo e genera nuovi neuroni in diverse aree cerebrali. Camminare è altresì importante perché “scioglie” la muscolatura, la mantiene dinamica e favorisce il movimento adrenalinico. Il tutto ha un impatto non indifferente sul cortisolo e sulla serotonina, il primo importante per la gestione dello stress, la seconda importante per il mantenimento del buon umore e di uno stato di benessere interiore. Altrettanto rilevante, se non fondamentale, è la relazione. In linea con gli insegnamenti rogersiani e frankliani (secondo cui è nell’altro che troviamo la possibilità di dare vita ad una relazione sana) coltivare le relazioni sociali, in questo momento storico, è “pane quotidiano”, sazia l’anima e contagia lo spirito.
Perseguire la gioia e/o il benessere è, quindi, possibile in tempo di Covid? Sì, perchè, come sottolinea Andreoli, se la felicità riguarda solo l’ “io” perché causata da un benessere che si prova di fronte a una notizia che concerne il singolo, la gioia invece riguarda il “noi”. Non c’è un solo momento della nostra vita in cui non siamo legati all’altro. È l’ “io-tu”, di buberiana memoria, che riempie la volta del cielo dell’Io, che rende la persona un essere in relazione. È nella relazione che si incontra la vita. È nel tu dinanzi all’io che si ha la risposta ad ogni domanda, anche all’angoscia.
Nel “noi” si hanno risposte inaspettate, a volte deludenti, a volte sorprendenti. In questo periodo di grande fragilità, Andreoli ricorda come la persona fragile abbia bisogno dell’altro, così capirà che l’amore è un “contratto tra fragilità”, due fragilità che insieme danno forza reciproca alla propria vita. In tal senso, la fragilità può divenire un’arte, quella di viverla sapendo che essa può essere ribaltata, riformulata e “agita” in maniera nuova. È qui che si inserisce la risposta ad ogni angoscia dell’homo incertus di oggi. Il “noi” non solo tiene in vita l’io, ma rilancia e riporta alla vita ciascun “io” allorché si affronta ogni problema con la forza dello stare insieme. La psicologia del “noi”, talvolta poco considerata, è invece quella che veramente può far pensare al domani con maggiore sicurezza e fiducia. È la psicologia che ridona la giusta rilevanza al “noi”. È il “noi” che può “spostare l’asse”. È il “noi” che può produrre cambiamento interiore e sociale. È il “noi” che riordina le cose. È il “noi” che salva!