In questi lunghi e tristi mesi di infezione Covid, abbiamo sentito giornalmente svariatissime tesi riguardo a terapie da adottare per combattere questo male, ed anche le più azzardate e fuorvianti, e un dibattito politico giunto all’incandescenza, immemori che nei casi di pericolo ciascuno deve unirsi all’altro per rassicurare la Comunità e fronteggiare meglio ogni difficoltà. Insomma la confusione è davvero molta e credo che sinora non ha aiutato i cittadini a vivere meglio un periodo così inusuale.
Ecco perché, quando in questi giorni le trasmissioni televisive ci rassegnano provocatoriamente scene di calca di persone nelle strade principali delle grandi città, la mia disapprovazione non va certamente a quel popolo che sbagliando si riversa nelle strade e partecipa a movida, ma va alla cosiddetta classe dirigente che generalmente non è stata all’altezza della situazione tenendo le briglie lasche, ed ha preferito la distinzione a tutti i costi rispetto all’altro, anziché dedicarsi con responsabilità al pericolo incombente.
Già nel mese di maggio, che ha fatto da spartiacque tra la prima ondata e la seconda in corso, quantomeno si poteva fare tesoro della esperienza della pandemia ‘la spagnola’ per comprendere sia le precauzioni da adottare di natura organizzativa e sanitaria, sia come tener conto della psicologia di massa per accompagnare una buona conduzione della resistenza alla pandemia. Va ricordato che la pandemia di un secolo fa si generò nelle trincee dei fronti di guerra, si sviluppo negli ospedali man mano che i feriti venivano ricoverati, si espanse drammaticamente quando finita la ‘grande guerra’ i soldati tornarono a casa nei vari paesi europei, delle Americhe, dell’Asia, dell’Africa. Anche in quella esperienza ci fu più di una ondata e le dinamiche politiche, furono pressoché quelle di oggi.
Ora, ai giorni nostri, era giusto alla fine della prima ondata tornare a lavorare per garantire le attività lavorative, ma non certamente a tutte quelle di svago che comunque prevedono un rapporto fisico troppo ravvicinato. Ed invece addirittura si è aperto una discussione senza fine su queste attività. Era meglio decidere di indennizzarli con somme più cospicue: i costi prodotti largamente da queste attività per la diffusione del COVID, sarebbero stati sensibilmente minori. Addirittura si sono decisi bonus per il turismo, che hanno avuto l’effetto di portare l’infezione dove non c’era. Sappiamo che abbiamo ancora due mesi delicatissimi: non dobbiamo saturare gli ospedali soprattutto i troppi pochi reparti di terapia intensiva; è indispensabili arrivare il più agevolmente possibile alla somministrazione dei vaccini. Che senso ha aprire querelle sulla libertà nelle località sciistiche, sulla riapertura di ogni attività di svago, e poi facendo leva sui sentimenti delle abitudini e costumi popolari nei festeggiamenti natalizi.
Si da l’impressione che le forze politiche facciano di tutto per farsi notare impegnate a trattare con le altre per ottenere feste più libere da regole restrittive. Gli stessi traslochi dalle zone rosse a quelle arancioni o gialle, vengono interpretate come passaggi non legati ad oggettive situazioni di minori pericoli ma a scambi tra regioni e governo nazionale. Come se la pandemia si possa governare alla giornata: scendo di un pochino, così il giorno successivo posso dedicarmi alla normalità, ma poi tanto il punto in più lo recupero dopo con uno in meno. No! Non è un gioco: è una cosa davvero seria.
Dunque se la classe dirigente tutta non decide di parlare con responsabilità come sta invece facendo la Merkel, è fin troppo chiaro che i cittadini sottovaluteranno la portata dei pericoli che correremo ancor più. Allora le feste Natalizie di quest’anno, se saranno limitate nella mobilità o nell’incontrare i nostri cari, sia un modo per recuperare il suo senso più profondo: di rinnovarci noi, e con noi le nostre Comunità. Spiritualmente ognuno di noi, e conseguentemente come Comunità.