Nel 1919, immediatamente dopo la fine del conflitto mondiale, nascono il partito fascista e, due anni più tardi, da una scissione all’interno del partito socialista, il partito comunista. In questi anni si assiste al progressivo affermarsi del regime fascista, che caratterizza questa fase della nostra storia costituzionale. L’inizio del regime fascista si fa corrispondere alla “marcia su Roma” delle squadre fasciste e al successivo incarico di formare un nuovo Governo, in sostituzione di quello diretto da Facta, affidato da Vittorio Emanuele III, il 22 ottobre 1922, a Mussolini. Con l’adozione della nuova legge elettorale n. 2444/1923, la legge Acerbo, caratterizzata da un sistema maggioritario, il fascismo mostra di non voler collaborare con altri e diversi movimenti politici. L’esito elettorale determina la completa salita al Parlamento dei fascisti.
Il deputato socialista Matteotti paga con la vita la sua protesta. Questo episodio provoca l’abbandono del Parlamento di gran parte dei deputati antifascisti (il c.d. Aventino), dopo cui Mussolini pronuncia il famoso discorso alla Camera, nel gennaio 1925, con il quale si assume provocatoriamente la responsabilità di tutto quanto avvenuto ed espone definitivamente un programma di edificazione dello Stato totalitario. Tale programma trova l’attuazione con le leggi fascistissime. L’unico partito politico è il partito nazionale fascista (PNF) con a capo il duce. La fedeltà al regime e l’adesione al partito divengono obbligatori per tutti i dipendenti pubblici.
Per quanto riguarda la forma di governo, la conquista del potere da parte del Partito fascista comporta un completo stravolgimento del sistema costituzionale mediante l’abbandono, sia della forma di governo costituzionale prevista dallo Statuto, sia di quella monarchico-parlamentare derivante dalle modificazioni tacite introdotte dai liberali. Di questo stravolgimento costituzionale, sono importanti le gravi limitazioni dei diritti imposte agli oppositori e, successivamente, anche agli appartenenti ad altre razze, la trasformazione della Camera dei deputati in un’assemblea nominata interamente dal partito, assunto al ruolo di partito unico, e l’assoggettamento di tutta l’organizzazione pubblica al volere del Duce, come ad una sorta di dittatura personale. L’intervento più significativo del periodo è rappresentato dalle leggi razziali del 1938, con le quali i cittadini di razza ebraica vengono privati non solo dei diritti politici, ma anche di molti diritti civili.
L’accentuazione della presenza dello Stato nell’economia è dovuta dalla particolare contingenza economica degli anni Venti. La crisi economica provoca grandi difficoltà nel settore creditizio, il che spinge lo Stato ad intervenire con operazioni di salvataggio di quegli istituti che si sono impegnati nel credito ed hanno consistenti interessi in imprese industriali.
In seguito alla necessità da parte dello Stato di intervenire con operazioni di salvataggio di istituti economici nasce un nuovo ente pubblico, l’Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.), destinato a svilupparsi nei decenni successivi. Viene esteso il controllo pubblico sul sistema bancario. Alla Banca d’Italia, trasformata in ente di diritto pubblico, sono attribuiti poteri di controllo e vigilanza dei flussi creditizi. Lo Stato è presente in modo rilevante nel settore attraverso istituti pubblici e partecipazioni nelle grandi banche di interesse nazionale. Infine, per conquistarsi l’appoggio della Chiesa cattolica, il Duce chiude la questione romana con la stipulazione dei Patti Lateranensi, che affidano alla Chiesa il Vaticano e alcuni riconoscimenti in denaro, e del Concordato, che risolve aspetti rilevanti sia per la Chiesa che per lo Stato.
La caduta del fascismo avviene il 25 luglio 1943 senza un esplicito conflitto interno, in una situazione in cui sono presenti in Italia molti reparti tedeschi, mentre gli anglo-americani sbarcano in Sicilia e si accingono a risalire la penisola. Ha inizio una fase costituzionale transitoria. In un primo tempo, la Monarchia cerca di rimettere in vigore lo Statuto Albertino, abrogando le principali leggi che modificano la forma di governo da esso prevista, ed operando attraverso un Governo composto da personalità vicine alla Monarchia.
In mancanza di alcuni organi costituzionali, che non possono essere ricostituiti mentre è in corso la guerra, si provvede alle necessità più urgenti mediante decreti-legge e mediante atti amministrativi, annunciando l’elezione della Camera dei deputati e la sua convocazione entro quattro mesi dalla cessazione dello stato di guerra.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, si dichiara la cessazione dello stato di guerra con le potenze alleate, e il Paese è invaso al sud dagli eserciti alleati e al nord e centro dall’esercito tedesco. La guerra continua sul territorio italiano fino al 25 aprile 1945, partecipando ad essa, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania decisa dal Governo del Re, anche reparti italiani e, nei territori occupati dalle truppe tedesche, anche reparti di partigiani costituitisi spontaneamente per contrastare le forze di occupazione e quanti decidono di collaborare con esse nell’ambito di una ricostituita organizzazione fascista autoqualificatasi come Repubblica sociale italiana.
Cosicché, all’interno della seconda guerra mondiale, viene a coesistere in Italia la guerra civile, nel corso della quale coloro che sono oppressi dal fascismo dal primo dopoguerra in poi si organizzano, sotto la guida del Comitato di Liberazione Nazionale, costituito, per reagire alle persecuzioni sofferte e cooperare al recupero della libertà all’indomani dell’armistizio, da sei partiti politici, cioè la Democrazia cristiana, il Partito socialista, il Partito comunista, il Partito liberale, la Democrazia del Lavoro e il Partito d’Azione.
Fra il C.L.N. ed il Governo del Re si determina un contrasto dal fatto che la maggioranza delle forze politiche che facevano parte del Comitato non intendono accettare la soluzione della crisi che è imposta dalla Monarchia, dopo il 25 luglio 1943, mediante una sorta di ritorno allo Statuto, e intendono rimettere in discussione la stessa forma monarchica dello Stato.
Questo conflitto è provvisoriamente risolto mediante il “Patto di Salerno”, mediante il quale il Governo e i partiti antifascisti stabiliscono che, dopo la liberazione di Roma, essi partecipano al Governo, o comunque sostengono la sua azione, e che: a) la decisione circa la forma di Stato e di Governo viene presa, dopo la liberazione del territorio nazionale, da un’Assemblea costituente, eletta a suffragio universale diretto e segreto; b) nel frattempo, la questione della scelta fra forma monarchica o repubblicana dello Stato rimane impregiudicata (c.d. “tregua istituzionale”); c) il Re Vittorio Emanuele III si ritira a vita privata e il principe ereditario ne avrebbe esercitato le funzioni col titolo di Luogotenente Generale del Regno e d) fino all’entrata in funzione del nuovo Parlamento, le funzioni legislative vengono esercitate dal Consiglio dei Ministri mediante decreti legislativi e promulgati dal Luogotenente.
Roma viene liberata il 4 giugno 1944 e il Patto di Salerno è attuato con il d.lgt. 25 giugno 1944, n. 151 (così detta “Costituzione provvisoria”). Tali disposizioni vengono integrate con altre di carattere pratico e successivamente modificate nel senso che la decisione circa la “forma istituzionale dello Stato (Repubblica o Monarchia)” viene decisa dagli elettori, con un referendum, il giorno stesso dell’elezione dell’Assemblea costituente (d.lgt. 16 marzo 1946, n. 98).
Il 2 giugno 1946 si hanno così due decisioni di grande rilievo per l’avvenire dell’Italia: la scelta a favore della forma repubblicana dello Stato, che non significa soltanto la scelta del metodo col quale individuare la persona che deve fungere da Capo dello Stato, ma anche un’indicazione di massima a favore della tradizione repubblicana e democratica contro quella monarchica e autoritaria, e l’individuazione delle persone che devono scrivere e approvare la prima Costituzione della Repubblica italiana. E, quando il testo della Costituzione viene deliberato ed entra in vigore, gli italiani si trovano così a disporre, per la prima volta, di un assetto giuridico-politico corrispondente ai principi che aveva ispirato il Risorgimento nazionale, sia sotto il profilo dell’indipendenza dallo straniero, sia sotto il profilo dell’ordinamento costituzionale.