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Odio e indifferenza: le due facce della cristianofobia

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I manifesti oscenamente blasfemi apparsi a Roma sono l’ennesimo, delinquenziale attacco ai valori più sacri della coscienza individuale e collettiva. Da tempo le feste religiose coincidono con una sistematica escalation di offese sacrileghe alla fede. E la cristianofobia ha due facce ugualmente demoniache: l’odio e l’indifferenza.

Oggi nella culla della cattolicità viene vilipeso e umiliato Cristo come accadde duemila anni fa sul Golgota, ma le reazioni sono flebili e quasi di maniera. Pochi giorni prima un leader politico aveva detto di non consumare più un alimento a larga diffusione e la sollevazione era stata corale. Ecco cosa accade quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. Come insegna papa Francesco, si scarta quello che non serve alla logica mondana. E’ l’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che colpisce anche i giovani. Bergoglio richiama l’umanità a fermarsi in tempo, a non rassegnarsi, a non considerare questo stato di cose come irreversibile. Il pastore può fare i suoi richiami ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che solo dall’amore e dalla condivisione deriva l’autentica felicità.

Per capire l’odio contro Cristo, è utile ricordare un suo Vicario incompreso, continuamente bersagliato da critiche interne ed esterne alla Chiesa eppure fondamentale per la storia del XX secolo: Paolo VI.

Un Papa teologo, intellettuale, poco comunicatore di massa e intimamente amletico nell’interrogarsi sui limiti e gli orizzonti della sua azione. Sfavorito da peculiarità emotive poco adatte all’empatia con le masse, da un carattere riflessivo e mite, ribattezzato crudamente dalla satira Paolo Mesto. Montini ai sediari pontifici confidava di non riuscire a fare grandi sorrisi perché la sua bocca non si apriva più di tanto e il suo viso non gli sembrava adatto ad una gioia ostentata. Ha mostrato l’altra faccia di Dio, non quella trionfante ma quella sofferente descritta dal teologo Sergio Quinzio. Nelle omelie dei funerali non disegnava quadri consolatori, non diceva che dietro una disgrazia c’è un disegno di Dio più grande che gli uomini non conoscono. Lasciava aperta la porta al mistero.

Ecco, qui sta la sua attualità e il senso profetico della sua elevazione agli onori degli altari. Nel momento in cui la Chiesa, vista da occhi umani, sembra più debole ed esposta al disprezzo più scandaloso, è proprio lì che il soffio dello Spirito sospinge la Barca di Pietro.

Gesù non abbandona la sua Chiesa e all’odierno martirio della pazienza imposto ai credenti da una società imbarbarita e senza memoria seguirà, come sempre accaduto lungo due millenni, il bagliore di una fede che squarcia l’oscurità delle tenebre. Il male da solo non si ferma, ripeteva il cardinale Giacomo Biffi.

Sul mistero del male sono state scritte intere biblioteche teologiche. L’indimenticato arcivescovo di Bologna, descrisse la “ribellione a Dio che accompagna dall’inizio il cammino dell’umanità: non c’è epoca storicamente conoscibile nella quale l’uomo non appaia segnato dal male”. Nell’odierna società occidentale, secolarizzata e atea, gli insulti blasfemi alla fede sono una delle più sconcertati manifestazioni del “mysterium iniquitatis”. La ragione priva della fede rischia di implodere, lo aveva intuito vent’anni fa Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio, alla quale l’allora cardinale Joseph Ratzinger diede il suo contributo.

La ferrea volontà di trasmettere la tradizione apostolica espone la Chiesa alle polarizzazioni ideologiche delle opposte correnti: da un lato i puristi della fede contrari a qualunque apertura alla modernità e dall’altro i fautori di un continuo aggiornamento di forme e contenuti dell’appartenenza religiosa.

Il “depositum fidei” è l’espressione del linguaggio teologico (ripresa da alcuni passi delle lettere di San Paolo a Timoteo) con cui viene indicato il contenuto integrale della fede cristiana che da Cristo e dagli apostoli è stato affidato al magistero ecclesiastico per essere custodito, sviluppato e, nella sua inalterata purezza, trasmesso di generazione in generazione. E’ la salvaguardia del “depositum fidei” e cioè delle verità di fede l’antidoto all’ondata sacrilega della cristianofobia. E “le porte degli inferi non prevarranno”.

Prof. Felice Eugenio Crema: