Papa Francesco, formulando le intenzioni di preghiera per il mese di agosto, si è rivolto ai leader mondiali affinché “siano al servizio della propria gente, lavorando per lo sviluppo umano integrale e per il bene comune, prendendosi cura di chi ha perso il lavoro e privilegiando i più poveri”. Queste parole, nel periodo storico che stiamo vivendo, segnato da conflitti fratricidi e povertà crescenti, rappresentano una guida a cui ognuno, indipendentemente dalle funzioni che riveste, si deve ispirare per far sì che, nessun cittadino, sia lasciato solo o in balia dell’arbitrio. In altre parole, coloro i quali rivestono funzioni direttive pubbliche, devono dimostrarsi all’altezza delle sfide che, l’umanità intera, sta attraversando.
Le nuove fragilità sociali, le guerre e i cambiamenti climatici hanno bisogno di risposte celeri e imperniate attorno al valore della pace. Il Santo Padre, durante tutto il suo pontificato, ci ha ricordato l’importanza di essere prossimi in ogni ambito della società e, questo valore, manifestazione più luminosa della democrazia, deve essere fatto proprio da tutti i leader mondiali. Paolo VI, in piena Guerra Fredda, ci ha ricordato che, la politica, “è una delle forme più alte di carità” e, da ciò, si desume che oggi, ancor più di ieri, questo assioma deve tornare ad essere messo al cento dell’azione in favore della “res publica”.
Alla luce di ciò, la diplomazia deve tornare ad essere la prima opzione per giungere alla risoluzione delle controversie e far cessare ogni conflitto. La “buona politica”, indipendentemente dalle aree ideali di provenienza, deve ispirarsi alla carità per realizzare compiutamente il bene comune per ogni cittadino. In questo modo, potremo donare, senza scuse, un futuro migliore alle generazioni che verranno.