In questo tempo in cui, forzatamente, navighiamo a vista, l’unica cosa certa è che la fase della ricostruzione sarà lunga e complessa, andrà ben oltre l’emergenza sanitaria che sta investendo come una “tempesta perfetta” tutta la comunità. Non stiamo combattendo solo la pandemia del virus, ma anche e soprattutto la pandemia sociale, che ha acuito i vecchi bisogni e ne ha creati di nuovi, generando nuovi poveri tra gli insospettabili.
Le famiglie che si sono trovate maggiormente in difficoltà sono quelle i cui componenti, una larga fascia di popolazione che questa pandemia ha svelato, sono lavoratori fragili, con basse tutele e bassi salari.
Sono loro, in preda all’angoscia e spesso molto confusi, a chiedere oggi, a gran voce, contattando le Acli di Roma o le altre organizzazioni solidali del territorio, un aiuto nell’esigibilità dei diritti e per districarsi tre le misure dei vari decreti del Governo, un lavoro più dignitoso, che se prima del Covid era un’emergenza sociale adesso è una drammatica urgenza, e cibo da mettere in tavola, perché senza lavoro e senza percepire misure di sostegno, di cibo non ce n’è.
Ma la fame più acuta non riguarda solo la stretta sopravvivenza ma è quella di futuro. La paura di questa pandemia ruba ancor di più il futuro, lo trasforma in una minaccia, mettendo in forse le nostre certezze, quelle materiali e quelle morali. Per non subire una sindrome da futuro dobbiamo innanzitutto interrompere la filiera del negativo che dalla crisi sanitaria ha condotto al lockdown e da questo alla crisi dell’economia e del lavoro, e infine alla crisi sociale, dovuta anche alle carenze di un welfare inadeguato, e a quella relazionale. È da questa altrettanto temibile “malattia” che dobbiamo guarire.
Possiamo individuare una serie di interventi articolati e collegati da un approccio multisfaccettato al contrasto della povertà, attraverso il sistema delle porte sociali – una nostra intuizione – che favoriscono la presa in carico integrale delle persone fragili grazie a un modello di azione sociale a tutto tondo, in cui la risposta alle necessità primarie nell’emergenza diventa un gancio per includere le persone in difficoltà in una rete di protezione sociale a tutto tondo, che mette al centro la dignità delle persone stesse, offre l’esigibilità dei diritti, attività, anche a distanza, di contrasto alla povertà educativa, iniziative sul lavoro, attività aggregative e sostegno psicologico, per contrastare la solitudine, facendo al tempo stesso da pungolo alle Istituzioni.
Una delle priorità, adesso, è rafforzare la coesione sociale del territorio, quindi ricostruire dal basso la comunità, renderla nei fatti inclusiva e solidale. E per fare questo occorre stringere le maglie della rete, delle esperienze e dei soggetti, in sinergia con le politiche pubbliche e con le Istituzioni che le realizzano. Una rete che consenta di tenere insieme un doppio sguardo, dal basso dei bisogni primari e all’alto della visione lungimirante. Il lavoro di rete è ormai metodo e sostanza dell’impegno delle ACLI di Roma sul territorio.
Credo che alle associazioni di prossimità come le ACLI di Roma venga chiesto un supplemento di profezia. La vorrei chiamare una nuova spiritualità del sociale. La capacità di aderire alla realtà e insieme di vedere oltre, necessaria anche alla politica e alle sue istituzioni, affinché ritrovino le proprie radici nell’etica e nei valori.
Ecco perché ritrovare la freccia del futuro mi sembra una metafora efficace per descrivere la più urgente delle responsabilità che spetta a tutti noi, in primis alla politica. Freccia vuol dire non tanto e non solo velocità, ma soprattutto direzione e senso di marcia, che sono quelli che dobbiamo trovare per uscire insieme dalla crisi, come singoli e come comunità.