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Quella notte che Keith suonò a Colonia

Cosa fare quando tutto non va bene? Quando tutto ci sembra contro? Quando non vediamo via d’uscita? “Non so cosa mi porterà il futuro. Quello che posso dire ora è che non sono più un pianista”. Questa è la sofferta dichiarazione che Keith Jarrett, il settantacinquenne musicista jazz amato e famoso in tutto il mondo, ha rilasciato al New York Times qualche giorno fa. Nato in Pennsylvania nel 1945, cominciò a suonare al pianoforte già a tre anni. A partire dagli anni sessanta iniziò a collaborare con i più grandi artisti del Jazz internazionale, da Art Blakey e i suoi Jazz Messengers a Miles Davis, e registrò numerosi dischi di musica classica. L’ultima sua apparizione risale a febbraio 2017, quando inaugurò il concerto alla Carnegie Hall di New York, poche settimane dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, con un indignato discorso sulla situazione politica in America.

Riprendendo l’auto-elogio del neo-Presidente degli Stati Uniti, che si diceva “la persona più intelligente in circolazione”, commentò così: “Quanto devi essere stupido per pensarlo?!”, invitando il pubblico a “rimanere vivo, rimanere sveglio!”. Un mese dopo avrebbe dovuto esibirsi nuovamente alla Carnegie Hall con uno di quei recital che hanno fatto di Jarrett una leggenda, come quello registrato alla Béla Bartók National Concert Hall di Budapest nel luglio 2016, appena uscito in un album doppio. L’esibizione venne cancellata con il resto del calendario dei concerti del pianista. Allora, la ECM, casa discografica del musicista, parlò di alcuni problemi di salute. Poi il silenzio. In questi ultimi tre anni non c’è stato nemmeno un comunicato stampa, nemmeno un aggiornamento ufficiale. Solo pochi giorni fa Jarrett ha deciso di rompere il silenzio, raccontando al famoso quotidiano newyorkese ciò che gli è successo: un ictus a inizio 2018, seguito da un altro pochi mesi dopo. “Sono rimasto paralizzato. Il mio lato sinistro è ancora parzialmente paralizzato. Posso camminare con il bastone, ma c’è voluto oltre un anno per riprendermi almeno un po’”. Dopo una lunga riabilitazione in una clinica specializzata l’artista è potuto rientrare a casa lo scorso maggio, in piena pandemia e “festeggiando” i suoi 75 anni a casa, riavvicinandosi al suo pianoforte e suonandolo solo con la mano destra. “Fingevo di essere Bach con una mano sola”. “Suono nei sogni, anche se non è come la vera vita”, dichiara al giornalista raccontando di essersi accorto di aver dimenticato tutti i suoi motivi bebop familiari… E continua: “È frustrante, in modo fisico, ascoltare musica per piano a due mani! Anche Schubert è troppo! Perché so che non lo potrò più fare. Non potrò guarire. Il massimo che potrò fare con la mano destra è reggere una tazza. Così”, spiega con ironia amara, “non è ‘sparate sul pianista’, la vita mi ha già sparato addosso!”. Ma questa è la vita che gli ha consentito, in più di cinquant’anni, di regalarci grande musica. E anche, 35 anni fa, di regalarci una indimenticabile lezione di vita!

Siamo a Colonia, 24 gennaio 1975. Jarrett arriva nella Germania dell’Ovest in una fredda giornata invernale, dopo un concerto a Zurigo. Ha appena 29 anni ed è già famosissimo! Si trova in Europa per affrontare la sua prima tournée da solista. Si dice che quel viaggio da Zurigo sia stato tormentato, che l’artista non abbia chiuso occhio per due giorni a causa di un grandissimo mal di schiena. Il pomeriggio l’artista sale sul palco e invece del Bösendorfer Grand Imperial, pianoforte che aveva richiesto, ne trova uno “anonimo”, più piccolo, con i pedali fuori uso e sicuramente non accordato! “Ok, io vado via, non voglio aver male anche alle orecchie”, dice incamminandosi verso l’uscita secondaria dell’Opera di Colonia. Vera Brandes, 19 anni, è l’organizzatrice del concerto, probabilmente alle sue “prime armi”. E quel concerto è il sogno della sua vita, il trampolino di lancio per la sua carriera! Non può, però, finire così: insegue, disperata e piangendo, Keith Jarrett fino in strada. Rincorre a piedi l’auto che, per fortuna, si arresta di colpo per non investire due bambini. Vera apre la portiera e gli implora di suonare comunque, gli promette di chiamare un tecnico per accordare il piano, ammette che quel pianoforte era piccolo per quella sala da 1400 posti, tutti venduti tra l’altro, e con le lacrime agli occhi gli dice: “Ti prego, fallo per me!”.

Tutto il resto è storia: Jarrett accettò. Alle 23:30 salì sul palco e compose musica per circa un’ora. Suonò in modo incredibile. Probabilmente, sapendo che il pianoforte non era adatto, ci mise una energia e una intensità mai viste! L’esibizione fu registrata e quel concerto è diventato il disco di piano-solo più venduto della storia del Jazz! Avrebbe potuto non suonare quella sera, Keith Jarrett! Avrebbe avuto tutti i motivi per andarsene…
Invece è rimasto, ha suonato e ne è venuto fuori il più bel concerto della sua vita!
Cosa fare quando tutto non va bene? Quando tutto ci sembra contro? Quando non vediamo via d’uscita? Lasciamo da parte problemi e scuse e facciamo vincere animo e passione!

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