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Non siamo in “economia di guerra”, ma il futuro preoccupa

L’Europa e l’Italia non sono in una fase di “economia di guerra”, ma il “futuro preoccupa” e “bisogna prepararsi”, soprattutto se il conflitto in Ucraina dovesse continuare a lungo. È quanto ha sostenuto Mario Draghi nell’incontro con capi di Stato e di governo della Ue riuniti nel castello di Versailles. Con l’aria che tira forse sarebbe stata opportuna minore “pompa”, anche perché tra pochi mesi questi vertici potrebbero avvenire all’interno di bunker a prova di bomba. Ma è probabile che i capi di Stato e di governo abbiano voluto provare, forse per l’ultima volta, i fasti di un tempo di pace e prosperità, durato più a lungo della belle époque, ma che sta per scadere. Così è più sensato fare attenzione all’ultima parte della fase del premier, dove è scritto un chiaro invito – potremmo dire quasi un ordine – a prepararsi perché il futuro desta parecchie preoccupazioni. Gli approvvigionamenti energetici sono un problema sempre più evidente, la scarsità di materie prime è ormai un dato con il quale bisogna fare i conti, l’agroalimentare rischia un tracollo legato all’aumento dei prezzi. L’unica risposta possibile, secondo Draghi, è quella di prepararsi ad affrontare uno scenario di emergenza e lavorare insieme per superare indenni la tempesta.

Il summit “è stato un successo, mai vista la Ue così compatta”, dice il premier incontrando i giornalisti. Sembra, però, che dal vertice siano emerse in realtà non poche distanze tra i leader sul processo di adesione di Kiev alla Ue o sugli strumenti economici per affrontare la crisi. Sul primo punto, ai leader europei è venuto in soccorso lo stesso Zelensky quando ha dichiarato che l’Ucraina deve mettere in conto la rinuncia all’adesione alla Nato. Se questa prova di realpolitik servirà ad arrivare ad un “cessate il fuoco’’ poi ad un armistizio e a un negoziato, sarà opportuno aspettare che si decanti la situazione prima di approvare l’adesione dell’Ucraina all’Unione.

E’ vero che il Parlamento europeo ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha votato a favore della cooptazione immediata. Per ora, però, le priorità sembrano essere altre. I gesti simbolici possono avere un grande valore; a una condizione: che si sia in grado di agire di conseguenza di fronte alle reazioni avverse. In sostanza, se una mossa di carattere politico come l’adesione dell’Ucraina alla Ue, dovesse comportare reazioni da parte di Putin, la Ue non potrebbe cavarsela con “un ci abbiamo provato, non è andata bene. Proveremo una prossima volta’’. Ecco perché le priorità di questa fase riguardano in primo luogo la fornitura di armi al governo ucraino. Il solo modo per portare Putin a negoziare, più ancora che adottare sanzioni sempre più dure (che poi sappiamo bene non riguarderebbero il gas e il petrolio), sta nel sostenere la resistenza ucraina. Quel popolo combatte anche per noi, consentendoci di guadagnare tempo per organizzare, almeno in parte, una relativa autosufficienza energetica anche diversificando le forniture e i fornitori. Poi dobbiamo convincerci che è finita l’età dell’innocenza. Si è aperto, all’improvviso (i segnali premonitori sono stati ignorati o sottovalutati), uno scenario di guerra. L’Ucraina – comunque vada a finire questa tragedia a cui assistiamo impotenti – non è un episodio a sé, risolto il quale è possibile tornare al tran tran di prima. La cosa più stupida per l’Occidente sarebbe di trovarsi coinvolto in una guerra che avrebbe voluto evitare a tutti i costi. L’Europa deve seguire l’esempio della Germania ed impegnarsi in una operazione che ha sempre evitato con cura e sdegno, come se fosse il “lavoro sporco” da attribuire agli USA (e alla NATO). Questa operazione ha un nome semplice e chiaro: il riarmo. Gli esseri umani come i popoli dispongono soltanto di quei diritti che sono disposti e capaci di difendere.

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