I paesi a risorse limitate non dovranno essere lasciati da soli nel corso di questa pandemia COVID-19. Non si dovrà permettere che i vaccini siano solo appannaggio dei paesi ricchi lasciando che persistano sacche più o meno grandi di diffusione del virus in molte parti del mondo. Questa situazione rappresenta non solo un grave vulnus dal punto di vista etico, ma anche una condizione di costante pericolo epidemiologico per tutti, anche per chi si è vaccinato, dal momento che non si può escludere che il virus, circolando possa andare incontro a mutazioni con insorgenza di eventuali varianti.
Questa pandemia ha fatto ancora una volta emergere le differenze a livello globale tra chi ha e chi non ha e ha posto in maniera inequivocabile la necessità di trovare un equilibrio che non sia solo economico, ma anche sanitario tra i diversi paesi del mondo. A questo proposito bisogna augurarsi che le varie iniziative di natura umanitaria promosse nel mondo quale COVAX da parte della Comunità Europea, Stati Uniti e dalla Cina possano avere successo nel promuovere la più ampia diffusione della vaccinazione di COVID-19 nel mondo.
La situazione sanitaria dei paesi a risorse limitate mi è particolarmente cara dal momento che per 12 anni (2006 – 2018) ho diretto il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (CeSI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed in questo ruolo sono stato testimone delle molte missioni che sono state promosse in questi paesi. Si è trattato di iniziative non solo sanitarie, ma che hanno coinvolto altri saperi dell’Ateneo, come la promozione di progetti di natura sociale e psicologica, economica, dell’ambiente ed agraria. Nel corso di questi anni sono stato altresì testimone delle terribili condizioni di indigenza nelle quali versano vaste aree del pianeta e per le quali spesso non esistono adeguati aiuti di cooperazione.
La pandemia COVID-19 non deve pertanto farci dimenticare che quelle aree povere e a risorse limitate vedono la presenza di altre patologie (antecedenti alla pandemia COVID-19) che in questo momento fanno forse meno notizia, ma non per questo sono meno importanti, sia per il numero di decessi che causano che per il numero di infezioni di cui si rendono responsabili. Mi riferisco in particolare alla malaria, alla tubercolosi e all’AIDS. Sono i cosiddetti tre big killers dell’Africa (e non solo) in quanto la loro contemporanea presenza in vaste aree del mondo tende a aggravare il problema sanitario causato dalle singole malattie in una sorta di escalation difficile da contenere. Tutte e tre queste patologie si rendono responsabile di decine di milioni di contagi e di milioni di morti ogni anno. L’impatto che hanno sui paesi a risorse limitate è duplice: da un lato l’aspetto sanitario e dall’altro – come anche noi abbiamo imparato per la pandemia COVID-19 – l’aspetto economico, che aggrava in una situazione già di per se precaria.
L’AIDS rappresenta un buon esempio di come la comunità internazionale agli inizi degli anni 2000 abbia risposto in maniera positiva ad un problema di natura globale, consentendo la produzione e quindi l’accesso in queste arre del mondo più disagiate di farmaci a prezzo di costo, in modo tale che potessero essere distribuiti al numero maggiore di persone. Si è trattato dei farmaci cosiddetti generici, che hanno trovato, proprio in queste aree a risorse limitate il loro vasto impiego. A distanza di 21 anni dalla decisione, per certi versi rivoluzionaria e storica, che è partita dal Sudafrica di sospendere o abolire la proprietà intellettuale di questi farmaci, si è assistito ad una inversione di tendenza della curva sia dei contagi che dei morti per AIDS in Africa e in generale nelle aree del mondo a risorse limitate.
Molto si è fatto, ma ancora molto resta da fare. Di fronte ai risultati certamente buoni ottenuti per l’AIDS rimangono ancora molte zone d’ombra e molte criticità, specie per quel che riguarda la malaria e la tubercolosi. Noi oggi guardiamo con occhio riconoscete alla ricerca scientifica che ha permesso in tempi veramente brevi, una manciata di mesi, di giungere dalla sequenza del virus responsabile di COVID-19 ad efficaci vaccini per contrastare la malattia. Se ne contano, in fase diversa di sviluppo, oltre 100 e il loro numero è destinato a crescere ancora. A fronte di questi risultati veramente brillanti, troppo spesso ci dimentichiamo di altre situazioni di difficoltà che tuttora persistono nel mondo. Per questo non si può passare sotto silenzio il fatto che non abbiamo ancora a disposizione un vaccino per la malaria e per la tubercolosi nonostante il numero di casi di malattia e di decessi da loro causati sia impressionante.
Si dirà che si tratta di malattie per le quali non è facile l’allestimento del vaccino; questo è probabilmente vero, ma esiste sempre il legittimo dubbio che di queste malattie poco importa perché colpiscono aree povere del mondo e non hanno per questo un grande impatto di natura né mediatica né economica. Alcuni anni or sono il Comitato per l’assegnazione dei premi Nobel ha conferito questo ambito riconoscimento agli scienziati che avevano studiato la terapia della malaria e l’oncocercosi (malattia della cecità fluviale) dando in questo uno straordinario segnale che non ci si dimenticava degli ultimi e di quanti vivevano nelle periferie del mondo. Dimenticarci degli ultimi è sempre moralmente inaccettabile e anche pericoloso dal punto di vista sanitario.