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La morte di Madoff e la riflessione sul senso della vita

Alla fine della vita, lo stile di condotta che avremo tenuto ci tornerà incontro per benedire o condannare noi stessi e le persone che abbiamo avuto al nostro fianco

Era la notte di Natale. L’ospedale nel quale lavoravo era semivuoto. Nei reparti, i segni della nascita del Salvatore tentavano di portare un po’ di gioia ai pazienti e al personale. In un letto, lentamente, si andava spegnendo un uomo, non molto anziano, ricco, colto. Una persona in vista. La spietata lotta con sorella morte era iniziata il giorno prima. Una lotta impari che, come tutti sapevamo, non gli avrebbe lasciato scampo.

L’ammalato, in uno stato soporoso, smaniava. Faceva freddo, fuori pioveva, ma lui scottava, sudava. Fu una notte terribile. Una di quelle notti che ti restano appiccicate addosso, si imprimono nella memoria, ti scavano dentro. Una di quelle notti in cui senti con chiarezza che Dio ti parla, ti forgia, ti plasma. Il dottore Esposito – lo chiamerò così – stava consumando le sue ultime ore. Accostammo, a destra e sinistra del suo giaciglio, due letti vuoti, per permettergli di muoversi senza problemi.

Come spesso mi accadeva, fissavo quella terribile scena di guerra e di pace mentre mi chiedevo: « Che cos’è la vita? Che cos’è la morte?». Alle prime ore dell’alba, il paziente rese la sua anima a Dio. Il giorno dopo i quotidiani traboccavano di necrologi. Dolore, cordoglio, ricordi, condoglianze. Commovente.

Quando l’uomo si cala nei panni di chi arranca nel dolore e nel bisogno viene “promosso a uomo” scrive don Mazzolari. Nei giorni seguenti non potevo fare a meno di riflettere sulle ore più terribili e importanti della nostra esistenza, quando “vita e morte si affrontano in prodigioso duello”.

Non so per quali misteriosi ingranaggi della mente mi ritorna alla memoria quella fredda notte di Natale di tanti anni fa, leggendo della morte di Bernard Madoff, spentosi a 82 anni in un carcere in North Carolina. Avrebbe dovuto scontare, questo ex finanziere capace di aver realizzato una delle truffe più colossali della storia americana, 150 anni di carcere. Centocinquat’anni! Verrebbe quasi da ridere.

“ Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per il più robusti” ci avverte il salmista. Perciò, dopo averne preso serenamente atto, implora: «Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore».

Ecco, la sapienza del cuore. Quella sorta di misterioso impasto di coraggio, intuito, intelligenza, pietà, empatia, capacità di guardare negli occhi la vita e il tempo che, indipendentemente da te, scorre e al quale nulla importa dei tuoi programmi, dei tuoi sogni, delle tue speranze. Quel contemplare il mondo con gli occhi di un bambino e non saziarsi mai di stupirsi alla vista di un delfino che danza, un uccellino che vola, un fratellino che nasce, un nonno che muore. Sapienza è imporsi con determinatezza, una volta per sempre, e poi ogni giorno, e ogni giorno ancora, di attraversare i monti, i mari, gli anni, le relazioni, i vicoli e le piazze della vita senza voler mai fare male a nessuno, ma gettando a destra e a manca semi di giustizia, di bontà, di pietà. Anche quando, a prima vista, saranno incompresi e calpestati. Sapienza è credere che il bene basta a se stesso; che il peggior nemico che ti farà veramente male quando ti fai complice del male non è il carcere o il pubblico ludibrio, ma la tua stessa coscienza, che, anche quando agli altri sembra essere irrimediabilmente erronea, riesce sempre a trovare un pertugio per insinuarsi e bucarti il cuore.

Madoff ha pagato, e ha fatto pagare, a caro prezzo, i suoi imbrogli milionari non solo alle sue vittime, ma anche, e soprattutto, alla sua famiglia. Il suicidio di suo figlio credo sia stato per lui devastante.

Ricordiamolo: il bene o il male che perseguiamo in vita, come una potentissima calamita, attraggono nella propria sfera d’influenza tanta gente a cominciare da coloro cui vogliamo bene e che ci vogliono bene. Saranno anch’essi a godere o a pagare delle nostre scelte benedette o scellerate.

Negli anni della vecchiaia, le uniche cose che ci renderanno sereni e felici sarà il poter contare su una coscienza che nulla ci rimprovera, l’affetto di figli, nipotini, amici; la gratitudine di coloro cui, passando, facemmo un po’ di bene; la fede in una vita che non muore. Incamminiamoci per questa strada già mille volte collaudata.

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