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Il mondo della tecnologia: metà paradiso e metà inferno

Sabato 19 il Corriere ospita un acuto intervento di due importanti maître à penser quali Sebastiano Maffettone e Paolo Benanti, il primo noto filosofo accademico, oggi titolare dell’insegnamento di etica digitale presso la LUISS, ed il secondo presbitero francescano, docente presso la Pontificia Università Gregoriana di etica delle tecnologie, entrambi autorevoli esperti del mondo digitale e dell’intelligenza artificiale che si sta proponendo come orizzonte dello sviluppo.

Partendo dalla considerazione che la tecnologia è eticamente neutrale, nel senso che non può definirsi di per sé moralmente buona o cattiva ma solo l’uso che ne viene fatto soggiace alla sua qualificazione, gli autori immaginano il nuovo assetto della destinazione finale definendolo per metà paradiso, luogo delle bontà d’animo e per metà inferno, crogiolo delle cattiverie, il “paraferno”, appunto: se l’avvento delle tecnologie consente di sostituire in un prossimo futuro non solo le attività materiali, come è stato per la robotica che abbiamo visto aver soppresso la gran parte della classe operaia, ma anche le attività intellettuali riservate alla classe professionale, dall’emanazione di pareri all’organizzazione della gestione, certamente la vita migliora poiché saranno meglio distribuite le risorse (è la parte che gli autori assegnano al paradiso) ma si perderà la capacità decisionale, il libero arbitrio, la scelta, e la possibilità di commettere l’errore con la conseguente capacità di porvi rimedio, caratteristica primaria dell’essere umano sin da quando iniziò a girovagare per scoprire il mondo in cui viveva.

In ogni epoca ed in ogni tempo il confronto tra i futuristi ed i radicati è stato fonte di stimolo per la crescita, consentendo l’avanzata verso il nuovo a ritmi possibili perché sospinti dagli esploratori e contenuti dai preoccupati e se senza i primi saremmo ancora nelle caverne o con i buoi aggiogati, i secondi ci hanno consentito di evitare di perdere tutti nella corsa (l’esempio dell’isola di Pasqua, dove la smania di crescere ha esaurito le risorse invertendo il ciclo produttivo, è illuminante).

Il punto dirimente è la salvaguardia dell’uomo con le sue caratteristiche: nessun progresso sarà mai proficuo se non conserverà l’interesse primario dell’uomo alla sua sopravvivenza e l’Unione europea ha negli ultimi anni dato vita al codice etico in cui sono richiamati i principi fondamentali dell’azione e cioè la dignità dell’uomo, la libertà dell’individuo, la democrazia e la giustizia, l’eguaglianza senza discriminazione garantendo in ogni caso la supervisione umana, la sicurezza, la riservatezza e la trasparenza. Sicuramente gli sforzi prodotti dagli esperti e dalle autorità, in aggiunta alle garanzie offerte dal confronto sociale stanno mantenendo lo sviluppo tecnologico dell’intelligenza artificiale entro limiti di salvaguardia delle azioni umane ma il punto è l’innalzamento del livello di intervento a cui corrisponde inevitabilmente la riduzione del controllo umano e via via questo limite si muoverà purtroppo in danno dell’uomo le cui esigenze non sono parametrate alla tecnica ma alla natura.

Sbagliare è umano ma appartiene alla libertà di coscienza e, come tale, è anche un diritto fondamentale ed insopprimibile nelle culture individualistiche e liberali, mentre risulta ostico nelle culture collettivistiche o totalitarie in cui la componente umana viene soppiantata dall’interesse collettivo, dalla massificazione in cui l’individuo perde la sua identità, ridotto ad elemento indifferenziato del sistema. John Rawls, filosofo statunitense autore di importanti studi di teoria politica che hanno determinato una svolta nel pensiero contemporaneo (fra tutti, Una teoria della giustizia, Milano 1971) afferma l’insopprimibilità di un diritto a sbagliare ai fini della individuazione della ragionevolezza che contrappone alla razionalità: lo sviluppo di una pluralità di visioni del mondo, di dottrine religiose, morali, filosofiche, di concezioni della vita buona, diverse e confliggenti, e tuttavia tutte ragionevoli (accanto, naturalmente, a quelle irragionevoli) costituisce il risultato naturale dell’esercizio della ragione umana in condizioni di libertà poiché non sempre è migliore ciò che è solo più conveniente.

Roberto de Tilla: