L’età dei bambini che si avvicinano al web e ai social si abbassa vertiginosamente e i genitori, in molti casi, fanno fatica a gestire la situazione. L’utilizzo smodato dello smartphone può portare con sé delle insidie, come il fenomeno della alert addiction che descrive la condizione di bambini perennemente chini sui loro cellulari. Le conseguenze di un utilizzo non controllato possono essere gravi: stanchezza, calo del rendimento a scuola o cambiamento repentino delle abitudini quotidiane.
Ma esiste un’età minima per usare lo smartphone? C’è chi pensa sia giusto concedere il telefono ai piccoli “perché fa parte della nostra contemporaneità” e chi invece ne blinda l’utilizzo fino all’inizio dell’adolescenza.
In Italia, secondo la ricerca Eukids 2017, più della metà dei bambini già a 9 anni ha uno smartphone. A 15 anni la percentuale sale al 97%. Praticamente tutti gli adolescenti ne possiedono uno.
È, dunque, sotto gli occhi di tutti quanto i bambini siano molto attratti dalla tecnologia.
Che si tratti di smartphone, tablet o pc, poco importa: sin da piccolissimi, sono in grado di interagire con gli strumenti elettronici con grande naturalezza e di concentrare la loro attenzione sullo schermo con un’intensità difficile da riscontrare per altre attività. Ciò accade perché lo smartphone genera dipendenza.
Ogni volta che proviamo una sensazione positiva e gratificante (un cibo buono, un video divertente, una notifica sul telefono…), il cervello rilascia dopamina, un neurotrasmettitore che influisce sulla motivazione e sul comportamento teso alla ricerca di gratificazione (la dopamina è infatti anche chiamata l’ormone dell’euforia).
Poiché, nel momento in cui il bambino ha tra le mani uno smartphone, prova piacere e il cervello produce dopamina, egli cerca di mantenere a lungo quella situazione o di riviverla con sempre maggiore frequenza. Più il bambino usa strumenti tecnologici, maggiore è la sua gratificazione. Quella del contatto con il telefonino è una soddisfazione ludica. Anche gli adulti vivono tale sensazione. Questa modalità, riproposta per periodi lunghi, rischia di generare una vera e propria dipendenza, in quanto il cervello si sarà abituato al livello elevato di dopamina provocato dalle gratificazioni indotte dall’uso dello smartphone e ne chiederà un uso sempre più intensivo per mantenere il livello di piacere a cui è abituato (con un meccanismo in parte analogo a quanto avviene quando un adulto assume droghe). Il senso di vuoto provocato dall’assenza dello smartphone è molto simile a quello che si ha per l’assenza di assunzione di oppioidi.
Il like è diventato il barometro del successo e dell’insuccesso, generando spesso, nel primo caso, esaltazione ed inganno, nel secondo caso, delusioni così forti da condurre addirittura al suicidio.
Pur in assenza di dati relativi a soggetti molto piccoli, si tratta di un fenomeno preoccupante, che rischia di avere effetti sullo sviluppo cerebrale dei bambini e conseguenze sulle loro capacità cognitive.
La tecnologia ha, però, indubbiamente anche aspetti positivi se si riesce a trovare un equilibrio fra tempi e modi di utilizzo e se si perviene alla consapevolezza dei rischi cui l’uso eccessivo della tecnologia può esporre; dal punto di vista fisiologico: obesità, riduzione delle ore di sonno, disturbi della vista; in relazione agli aspetti psicologici ed educativi: distorto senso del limite, isolamento, problemi comportamentali, ritardi dell’apprendimento e delle abilità sociali.
L’American Academy of Pediatrics propone alcune linee guida per aiutare i genitori ad un corretto uso degli strumenti tecnologici presenti nelle nostre case.
In riferimento ai bambini sotto i 2 anni, l’uso di device digitali dovrebbe essere molto limitato e dovrebbe avvenire solo in compagnia di un adulto che parli e spieghi quello che sta vedendo. È molto importante scegliere applicazioni o video di alta qualità ed adatti ai bambini, essere sempre presenti e utilizzare il mezzo digitale con il bambino, non permettere che quest’ultimo ne faccia uso da solo.
Per quanto concerne i bambini di età tra i 2 e i 5 anni, bisogna limitare l’utilizzo a non più di un’ora al giorno, favorire altre attività salutari per il corpo e la mente dei piccoli (giochi all’aperto, sport, musica, lettura di libri con uno o, ove possibile, entrambi i genitori, ecc.), scegliere applicazioni interattive non violente che propongano valori socialmente condivisibili, guardare i video insieme, giocare insieme ai propri bambini e discutere dei contenuti dei video o dei giochi.
Con i bambini in età scolare bisogna concordare un tempo massimo di gioco e stabilire, con l’obbligo di rispettarle, le regole di utilizzo che prevedano il tempo per i compiti, per il pranzo e per le relazioni familiari.
In una dimensione generale, è, importante spiegare, con un linguaggio semplice ma chiaro, che il web non è un luogo sicuro.
Le regole devono avere valore per tutti. Dobbiamo ricordarci di essere esempi e testimoni: stabilire delle chiare regole di utilizzo della tecnologia anche per noi adulti.
In questo momento attuale di straordinaria importanza sono anche le esperienze di vita senza tecnologia, quelle che consentono le relazioni concrete e fisiche tra le persone.
Un aspetto imprescindibile perché si evitino per i bambini i tanti pericoli nascosti nei dispositivi elettronici è che noi adulti riusciamo a conoscerli e a padroneggiarli. In tal modo non potrà sfuggirci il “mondo” in cui sono immersi i piccoli e potremo intervenire nel momento del pericolo.
Noi adulti ed educatori abbiamo il dovere morale di ricordare che la parola e il contatto fisico sono, come direbbe don Luigi Maria Epicoco, “gli alfabeti più importanti attraverso cui la relazione diventa possibile”. Dobbiamo farlo e rammentare, secondo ciò che sosteneva Freire nella sua “Pedagogia degli oppressi”, quanto sia importante un’azione dialogica basata sulla collaborazione, sulla distribuzione delle informazioni, sull’unione, sull’organizzazione e sull’educazione problematizzante, non oppressiva e antidialogica. Dalle parole bisogna passare, quindi, all’azione.
In tal modo, potrà essere vero, secondo quanto sostiene Pasqualetti, che lo strumento tecnologico, anche se usato dai più piccoli, può essere altamente educativo. Lo smartphone non è solo attività di rete, ascolto di musica o/e visione dei video più in voga, ma è un “processo interattivo”, ad esempio uno storytelling digitale, un “racconto di storie” che consente un continuo “collegamento” con altri, una possibilità di penetrare, attraverso la narrazione, nell’interiorità delle persone con cui si è in rete, elaborando i processi di apprendimento e di conoscenza in modo riflessivo e profondo. Lo storytelling è, quindi, uno strumento per ritrarre eventi reali o fittizi attraverso parole, immagini, suoni. È un mezzo naturale attraverso il quale può avvenire una forma di comunicazione efficace che coinvolge in toto l’essere umano, in una possibile ed efficace integrazione tra intelligenza razionale ed intelligenza emotiva.
Un buon percorso educativo può, in base a quanto suddetto, favorire la nascita di un nuovo sguardo. L’educatore, soddisfatto di tale metodo, ha tutta la possibilità di trasmettere l’entusiasmo perché l’uso dei social network possa divenire uno spazio di narrazione comunitario.
I nostri bambini sono i nuovi nativi digitali, esposti ad un mondo telematico che oscilla tra forme possibili di cyberbullismo (violenza in rete senza controllo e smisurata) e possibile contatto con memorabili momenti di storytelling e nel quale l’educazione alla relazione “Io-Tu”, di buberiana memoria, diventa di fondamentale importanza. A differenza di molti genitori che vedono nero o buio dinanzi ai loro figli chini dinanzi agli strumenti tecnologici, è bello poter invece vedere la luce. Con un frame di valori e norme, si può contribuire, se non a controllare il mare, certamente a navigarlo, come ci insegna Epicoco nel suo straordinario testo “La luce in fondo”.
Nel mare di internet possiamo imparare a navigare non prescindendo mai da uno sguardo educativo attento e dalla convinzione che non servono tanti follower per star bene con sé stessi e con gli altri, né tanti like per sentire di valere ed essere accettati, né sensazioni eccitanti ed esaltanti per sentirsi vivi.
Lo smartphone deve essere un mezzo per l’Io, non il fine dell’Io.
Il like dell’esistenza del bambino non deve essere consumato sugli schermi di smartphone, tablet o pc ma deve concretizzarsi nell’incontro umano, quello vero che può anche, ma non deve soltanto passare attraverso gli strumenti telematici. Comprendere questo significa consentire che il clic che viene digitato dia un orientamento davvero positivo alla crescita armonica ed integrale della persona.
È così che un clic e un like possono contribuire ad indicare la direzione di un’intera vita!