La recente pandemia da Covid–19 ha insegnato a tutti noi la grande importanza del lavoro di cura, da cui nessuna società, può prescindere. Occorre però che, anche ad emergenza terminata, si continui a mantenere al centro del dibattito pubblico queste figure, fondamentali per tutti coloro che, nella loro quotidianità, si trovano a fronteggiare le diverse forme di fragilità che la vita può mettere davanti. Il concetto di cura dovrebbe però essere esteso, includendo in sé non solamente le persone, ma anche l’ambiente, il clima e le relazioni, richiamando i concetti espressi da Papa Francesco nelle encicliche “Fratelli tutti” e “Laudato Sì”.
Il modello deve diventare quello che si potrebbe definire di cura universale, mettendo al centro della società il valore e la salvaguardia della vita in ogni sua declinazione. Questo si può realizzare attraverso un percorso di confronto fra le associazioni di tutela e rappresentanza delle persone con disabilità e le istituzioni ad ogni livello, la cui finalità deve essere quella di valorizzare le professioni di cura mediante la creazione di un sistema di welfare sempre più universale e umano. È nostro dovere agire come ci ha ricordato il Santo Padre: “Se vogliamo ricostruire speranza, occorre abbandonare i linguaggi, i gesti e le scelte ispirati all’egoismo e imparare il linguaggio dell’amore, che è prendersi cura”. L’amore oblativo insito nella cura sarà la linfa su cui costruire una civiltà nuova e più attenta alle fragilità del nostro tempo a cui tutti, nessuno escluso, devono tendere la mano.