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La memoria come antidoto dell’indifferenza

Senso di smarrimento e di confusione prevalgono, in particolare in questi ultimi giorni. Il senso di paralisi dei cittadini è acuito dalla difficoltà nel ritrovarsi, nello stare assieme per condividere idee e progetti per il futuro. Il Covid ha accelerato un processo in atto ormai da tempo.  Per anni, infatti, è stata mortificata la vita sociale e collettiva, intesa, nel suo significato più nobile, come capacità del singolo di agire liberamente e responsabilmente, producendo reddito per sè e per gli altri, in una dinamica di sana sussidiarietà orizzontale. Si è potenziato l’individualismo: ma cosa ti importa? Pensa a te, non ti esporre.  Non è un problema tuo. La Giornata della Memoria, nonostante tutto, veniva celebrata solennemente.

Oggi il Covid impedisce la realizzazione di quei cortei che servivano, tutto sommato, per lavare le coscienze. Ciò che colpisce non è solo l’atrocità delle SS ma pure il silenzio del resto del mondo. Quando tace la ragione, parla l’idiozia: chi riflette non può non interrogarsi su questo silenzio. La senatrice Liliana Segre non si è mai data ragione dell’indifferenza delle compagne di banco: nessuna di loro si domandò dove fosse finita la loro amica. Celebrare oggi la Giornata della Memoria diventa allora l’invito a non restare indifferenti e a porsi la domanda: qual è il mio contributo alla società?

Va constatato che l’individualismo che ha caratterizzato la società negli ultimi decenni ha reso tutti più poveri, sdoganando l’idea dell’assistenzialismo. Difatti il sussidio ha una logica opposta al lavoro, inteso quest’ultimo come forma per contribuire al bene della collettività. Al contrario il lavoro permette alla persona di trovare il proprio posto nella società ma anche di produrre reddito per sè e per gli altri, in una logica comunitaria. Il lavoro diventa anche uno strumento che apre ad una dimensione sociale, ad una responsabilità collettiva che sana dall’indifferenza: il sussidio, è evidente, chiude chi lo riceve in se stesso.

Questo va detto a conferma del fatto che i fondi del Recovery servono per far ripartire il Paese, rimettendo in moto la sana capacità produttiva ed imprenditoriale del singolo che, solo così, ricomincerà a pensare per sé e per gli altri, riscoprendo la capacità di pensarsi come membro di una comunità.

In questa riscoperta della dimensione comunitaria, grande ruolo è ricoperto dalla politica che deve assumersi la propria responsabilità, abbandonando la logica dello “scaricabarile”. Non aiuta ora una politica che non decide, perché una politica che non decide innesca una guerra fra poveri che mette in competizione i diritti. Ciascuno deve fare la propria parte. Oggi la crisi politica è un riflesso della crisi ben più grave che caratterizza la nostra società: crisi occupazionale, crisi identitaria, crisi valoriale.  Pensiamo all’Ilva di Taranto e a tutti i cittadini pugliesi morti di cancro. La causa?  Non si decide, si posticipa la soluzione e si spostano le responsabilità, trovando, di volta in volta, il capro espiatorio di turno. Quindi la vera crisi interessa le Istituzioni ed è su questa che dobbiamo concentrarci: se le Istituzioni non sono più un punto di riferimento, quale riferimento possono avere i cittadini?

Il singolo cittadino, il politico, ciascuno di noi ha “posto imprescindibile” nella comunità e questa non può fare a meno del contributo di nessuno. La responsabilità soggettiva diviene collettiva e salva la comunità quando si misura con le domande potenti:

1. Questa situazione difficile, cosa dice a me, a noi? Cioè, che cosa possiamo cogliere di positivo per il futuro da questa situazione oggettivamente così negativa?

2. Che cosa in passato abbiamo pensato, abbiamo detto, abbiamo fatto, che ci ha fatto arrivare proprio qui? Quali responsabilità non ci siamo presi? Quali gesti di apertura non abbiamo compiuto?

Sono domande significative che interpellano il nostro senso civico; dalle risposte capiremo se ciascuno di noi ha il coraggio, la forza, la determinazione di anteporre a tutto (all’ego, al simbolo, al punto, al vezzo) il maggior interesse dell’altro, consapevole che la cura della comunità va a beneficio anche del singolo, e quindi di me stesso. Guardiamo a queste ore come ad una prova della nostra generosità, senso di appartenenza alla comunità, senso delle istituzioni, cura dei cittadini perché l’indifferenza non sia l’ultima parola.

Non possiamo celebrare il ritorno alla vita dalla liberazione di Auschwitz, chiedere una vigile attenzione ai giovani e sui giovani, quando poi nei fatti mostriamo ai nostri figli che comunque la coalizione, il piglio, lo stemma valgono di più e l’indifferenza vince, anche di fronte al disagio dei più giovani e indifesi.

Esiste una contraddizione grave tra l’evidenza di vivere una crisi epocale, da cui è impossibile salvarsi da soli, e lo spettacolo di indifferenza sociale che ha portato milioni di ragazzi in balìa della DAD per mesi, e la politica ad offrire un triste spettacolo di ripicche e di sterili, pericolosi personalismi.

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