Arriva anche quest’anno la Giornata Nazionale dello Sport, istituita dal Coni che ogni anno si celebra nella prima domenica di giugno sull’intero territorio nazionale. Lo spot del Coni recita: “Dal gioco ai Giochi”, perché è il passaggio obbligato di un pensiero che ha come filo conduttore lo sport olimpico, quello tanto cari a De Coubertin, dove l’importante non è vincere ma partecipare, concetti però superati dal consumismo dell’era moderna dove l’unica cosa che conta è vincere. Lo sport che dovrebbe essere strumento di crescita del movimento di base, che diventa per l’ennesima volta il teatrino per le rappresentazioni di chi lo sport, quello di base, non sa neppure dove sia di casa. Perché conta solo vincere. La giornata che andiamo a festeggiare è intrisa di troppa pochezza culturale. Nel suo valore onirico, lo sport dovrebbe contribuire nel perseguire l’obiettivo primario della crescita del movimento. Che però non interessa ai piani alti. Per esempio, la giornata di Napoli avrà l’epilogo allo Stadio Maradona per celebrare la squadra di Spalletti campione d’Italia. Bello, non c’è che dire, ma la giornata dovrebbe abbracciare altri valori, quelli del senso di appartenenza, dell’amore per una maglia, per una disciplina, dove lavoro e sudore sono la colonna sonora di chi lo sport lo vive con quelli che dovrebbero essere i giusti valori e principi, con la parola sport di base che purtroppo è solo un vocabolo di un dizionario ingiallito.
Sebbene la mia vita giornalistica sia poggiata in prevalenza sul calcio, non posso non pensare alle Olimpiadi che ho avuto il piacere e l’onore di seguire da vicino. Gli occhi gonfi di lacrime di chi, sfinito, chiude una gara olimpica. La gioia per esserci stato, dove conta l’essere e non l’apparire. Se poi, il tutto lo condisci con una medaglia, allora il valore assume una dimensione di straordinaria bellezza.
Ecco perché questa giornata dovrebbe servire maggiormente a farci riflettere, su quel che dovrebbe essere la nostra linea di condotta. Le basi, quelle sportive, che andrebbero inculcate nei ragazzi fin dal loro ingresso nella scuola. Ne parlavo con una apprezzata professionista, la professoressa Nadia Stanzione, storia analoga a quella di Marta Rossi e di tante altre docenti che insegnano lo sport alla base. Insegnano i valori dello sport, del sacrificio, allontanando i ragazzi da false prospettive ideologiche, che non solo quelle legate meramente al successo, ma ad un processo di crescita del ragazzo che prima di diventare atleta deve imparare ad essere uomo e donna, lontano da quella schiera di genitori-terroristi che in tribuna si picchiano, anche in partite a sfondo amatoriale, perché quello che conta è solo vincere, quando invece la medaglia più bella è ancora quella di De Coubertin, quella delle professoresse Rossi e Stanzione, che ti insegnano per prime i valori della vita.
La sconfitta dello sport è quando chiudiamo gli occhi per non vedere il rovescio della stessa medaglia, perché a volte chi insegna deve arrendersi davanti alla mancanza di strutture. Una nevicata che sei anni fa ha distrutto un impianto della pallamano di Civitavecchia (serie A) costretta a migrare alla ricerca di un piazzale dove allenarsi, perché in sei anni la politica ha fatto nulla per ricostruire l’impianto. Oppure come a Catania dove una squadra di pallavolo è costretta a giocare in una palestra con il soffitto che rischia di crollare da un momento all’altro, dove non ci sono misure igieniche per ospitare le ragazze. E tante altre storie analoghe in ogni angolo d’Italia. Ecco perché il vero sconfitto è lo sport, perché siamo bravi a pensare alle medaglie, alle vittorie, ma permettiamo che talune realtà, che fanno sport ad alto livello mosse dalla passione e non certo dal dio denaro, rischiano di scomparire perché nessuno muove un dito per metterle in condizioni di lavorare. Ben venga la giornata nazionale dello sport, ma il Coni, il Governo, facciano di tutto per cominciare a divulgare il verbo dello sport a partire dalla scuola materna, perché da un buon seme, può solo nascere un bel fiore.