Leggendo le statistiche del Censis, il matrimonio, pur essendo un’istituzione più che millenaria, dovrebbe essere destinato all'estinzione. In tutta franchezza, non sarà così; la bellezza del matrimonio prevarrà su tutte le tendenze e le mode. Ciò nonostante, questi dati ci impegnano a ragionare sul perché i giovani rifiutano la vocazione matrimoniale.
Sul punto, vale la pena ricordare che il matrimonio, ovvero il negozio giuridico costitutivo della famiglia, è l’unico negozio giuridico in cui ciascuna parte si impegna, pubblicamente, a perseguire la cura dell’altra, mentre i coniugi, insieme, mettono a disposizione della società la loro capacità generativa (mater munus). Chi contrae matrimonio, lo fa perché vuole responsabilmente aiutare i membri della famiglia e non perché attraverso il matrimonio si assicura l’impegno degli altri. Ebbene, la crisi del matrimonio vuol dire la crisi del dono e la prevalenza del consumismo. Tutto è merce e la merce non può durare. E infatti, se il “per sempre” non è compatibile con l'attuale consumismo, è chiaro che il matrimonio va in crisi. In questo contesto, non è un caso che parimenti al declino dei matrimoni si assiste al declino demografico, dal momento che, nonostante i vari tentativi, i figli non sono merce, e generarli costituisce un “per sempre”. In pratica, non solo i matrimoni si estingueranno, ma si estinguerà una buona fetta della popolazione.
Che dire: ci si deve rassegnare a questa prospettiva apocalittica? La risposta è no, anche perché non è vero che i giovani non vogliono impegnarsi; se non si impegnano è solo perché si sentono soli e la solitudine fa perdere loro la speranza. Occorre quindi valorizzare il ruolo della famiglia, puntando soprattutto sui giovani che pongono, come pilastro della propria vita, il dono all'altro attraverso il matrimonio. Lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno, è stato chiaro: “Dobbiamo riporre fiducia nelle famiglie italiane”. Non si tratta di un'affermazione scontata. Seguendo l'indicazione del Presidente Mattarella, occorre riconoscere alla famiglia un rilievo pubblico, essendo una risorsa per il bene comune.
In concreto, le famiglie dunque non vanno ostacolate, ma premiate. Ma non solo, poiché le famiglie non sono il malato da curare, ma la cura del malato, occorre uscire da una logica meramente assistenzialistica. Infatti, fornire sostegno alle famiglie significa non tanto e non solo maggiore sussidi e aiuti ai poveri, quanto piuttosto fare in modo che le famiglie possano realizzare i loro progetti di vita. In conclusione, il declino dei matrimoni non può costituire un mero dato statistico. Deve far riflettere la circostanza che senza i matrimoni un'intera società perde di senso, tanto che, come conseguenza, la diminuzione dei matrimoni determina anche una decrescita demografica.
Tuttavia, occorre aver ben chiara la causa di un simile declino perché solo così si potrà intervenire. A tal proposito, vivendo i problemi e la vita delle famiglia, non c'è dubbio che i giovani ricominceranno a sposarsi quando prevarrà la speranza sulla solitudine. Pertanto, se si vuole essere solidali nei confronti dei giovani e delle famiglie, occorre lottare contro la solitudine, perché è proprio la solitudine a togliere la speranza. Come si fa a lottare contro la solitudine delle famiglie e dei giovani? Vanno valorizzate l'associazionismo famigliare, perché all’interno di una famiglia di famiglie, è più difficile sentirsi soli, e stando insieme anche la precarietà materiale è superabile.
L'avvocato Vincenzo Bassi è Presidente della Federazione europea della Associazioni Famigliari Cattoliche (FAFCE) e Vice Presidente dell'Unione dei Giuristi Cattolici Italiani (UGCI)