Le nuove mafie sono molto potenti economicamente e variano i loro affari, passando dall’illecito al lecito, mediante un apparato complesso di riciclaggio che coinvolge Stati, banche, imprese e professionisti a livello nazionale e transnazionale. Siamo di fronte a una mafia «5.0», tecnologicamente molto avanzata. In un simile scenario, non ci possiamo meravigliare che un imprenditore di Palmi, sia indagato dalla Dda di Reggio Calabria perché ritenuto la mente economico-finanziaria di clan della ‘ndrangheta, della camorra e della mafia siciliana che volevano riciclare centotrentasei miliardi di euro.
Sembrerebbe addirittura che l’imprenditore avesse già trentasei miliardi di contanti pronti a essere ripuliti come sembrerebbe sia scritto nella trascrizione di un’intercettazione contenuta in un’informativa della Squadra mobile reggina depositata agli atti del processo “Eyphemos” contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Secondo gli inquirenti l’imprenditore colluso avrebbe gestito un fondo di oltre cinquecento miliardi.
Per l’accusa, il referente delle cosche – indicato come un soggetto in rapporti stretti con la ‘ndrangheta – si stava organizzando per spostare in paesi extraeuropei un’ingente somma di denaro depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paradisi fiscali da “lista nera” che, comunque, non potevano risultare, a eventuali controlli, giacché nascosti su conti speciali offshore. Questo è il vero volto delle nuove mafie: avvezzi a forme d’imprenditoria avanzate nei territori più produttivi, capaci di entrare in possesso d’imprese in crisi e riuscire a “aggredire” i finanziamenti previsti dal Mise e dal Mef, ma anche di riuscire ad avviare affari nella Santa Sede e con molti Stati europei ed extraeuropei. Non dimentichiamoci che le mafie hanno compreso immediatamente che la loro economia criminale è contro le leggi degli Stati ma non è affatto contro i mercati globalizzati.
Le mafie sanno che i “paradisi fiscali” sono assolutamente “neutrali”, per cui sono indifferenti all’origine dei capitali e accolgono i loro denari senza particolari problemi. Dobbiamo comprendere che siamo di fronte a mafie che sfruttano sistemi che richiedono l’attività di specialisti in grado di organizzare il percorso dei soldi sporchi e di seguirli fino al capolinea ripulendoli perfettamente per poi ricollocarli nelle economia legali. Come sosteneva Pino Arlacchi, già ai tempi del Pool di Palermo, il riciclaggio rappresenta un ponte fra criminalità e società civile che offre ai mafiosi gli strumenti per essere accolti e integrati nel sistema, arrivando a sedere nei consigli di amministrazione e a contribuire all’assunzione di decisioni economiche e sociali rilevanti. Inutile fare finta di non sapere, è sotto gli occhi di tutti come l’economia finanziaria senza regole e globalizzata abbia favorito le mafie, dimostrandosi oggi più confacente alle strategie di occultamento della ricchezza e del suo riciclaggio da parte della criminalità rispetto a tutte le epoche precedenti.
Essenziale in questo processo criminale per il riciclaggio è l’attuale andamento permissivo dei circuiti bancari e finanziari. Le mafie di oggi accumulano immense quantità di denaro con la droga, poi riciclano queste somme e infine le reinvestono nell’economia e nella finanza legali. Il riciclaggio può essere inquadrato sotto una duplice valenza: “reato scopo”, cioè fine a se stesso, o “reato mezzo”, cioè utile alla realizzazione di altri reati. A seguito di quanto appena scritto, sarà bene adeguarsi a combattere con nuovi strumenti transnazionali il riciclaggio dei proventi di reato rafforzando e rendendo operativa la confisca degli strumenti e dei proventi o dei beni il cui valore corrisponde a tali proventi.
Questo non può non presupporre la massima cooperazione internazionale tra gli Stati con nuove forme di assistenza investigativa e giudiziaria che coinvolgano la raccolta di elementi di prova, la trasmissione ad altro Stato d’informazioni, anche senza richiesta, l’adozione di tecniche investigative comuni, e l’eliminazione del segreto bancario. Dovranno giocoforza essere rinforzati anche gli strumenti penali e procedurali che riguardano il sequestro di conti bancari e di beni di provenienza sospetta. Tutte le misure di confisca dei proventi di reato vanno rese possibili all’estero da parte dello Stato richiesto su domanda di uno Stato richiedente. Questo è soltanto un punto di partenza per provare a sconfiggere il riciclaggio di denaro sporco che sta inquinando sempre di più proprio le economie legali dei singoli Stati mettendo in crisi il futuro delle prossime generazioni.
Vincenzo Musacchio, giurista, è stato più volte professore di diritto penale e criminologia in varie Università italiane. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto