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Si chiama lussuria, ma significa egoismo

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Vivere nel lusso sembra l’obiettivo di ogni desiderio, stimolato anche dalla influenza mediatica e dalle varie forme di pubblicità, da quelle esplicite a quelle indirette, in cui si creano le premesse per la conclusione consequenziale sulla utilità, se non addirittura necessità del prodotto offerto.

Nasce dall’immagine che viene presentata dell’individuo che deve pensare a se stesso, a godere dei beni che può avere ed a tendere a procurarseli, che deve soddisfare i propri impulsi e ricercare unicamente la fonte del proprio piacere: basta scorrere le copertine delle riviste, osservare i programmi televisivi e le proposte per gli acquisti, ascoltare i messaggi radiofonici, per imbattersi in un misto di donne in costume, maschi palestrati, cibi esotici e spiagge tropicali, proposto come il meglio per godersi la vita.

È la lussuria.

La donna di casa che accudisce i figli e cura le faccende domestiche, indispensabili, non è più la giovane mamma ma l’anziana nonna, poiché la prima è intenta a fare carriera o a godersi la vita; il lavoratore non è orgoglioso della sua attività e degli obiettivi raggiunti ma viene stimolato alle ferie ed a non perdere l’occasione propizia; il giovane viene orientato al piacere, non più al dovere. Le famiglie si formano, in versione ridotta, dopo che i due coniugi hanno esaurito la vena godereccia.

Il fascino del lusso è certamente accattivante: cibi, sesso, vestiti, vacanze, automobili sono ai primi posti degli obiettivi immediati da raggiungere; difficile sentire qualcuno che abbia in mente un progetto di vita e lo pianifichi adeguatamente in relazione alle proprie capacità e possibilità. Si tende al tutto e subito e magari al di più, con quali risorse si vedrà.

Non aiuta l’etica capitalistica, plutocratica per essere più precisi, il cui circolo vizioso è pur noto: presentare l’immagine vincente dell’individuo di successo che trascorre il suo tempo a soddisfare i propri piaceri materiali, forte di risorse che difficilmente gli appartengono e conseguente induzione nell’osservatore del bisogno di fare altrettanto e di orientare al piacere i propri desideri. Dietro c’è qualcuno che vende e che riscuote denaro dal bisogno artificiale indotto.

Se il destinatario di una tale immagine che gli viene propinata riuscisse a comprendere di essere lui l’oggetto della scaltra manovra, sarebbe già sulla buona strada per evitare la trappola; ma la lussuria è accattivante, ti rapisce, ti fa sentire importante e potente, è trascinante, vorticosa, inebriante: se cadesse ancora il mondo, nulla mai temer mi fa canta il don Giovanni mozartiano nel finale primo.

Ma quanto dura? Può resistere tutta una vita? Quanto tempo, fisicamente e mentalmente, si riesce a resistere ad un eccesso? E poi, è davvero gratificante? Jack Nicholson, uomo di grande successo che ha dichiarato di non aver mai dormito due volte di seguito con la stessa donna, che ha avuto cinque figli da quattro donne diverse, che nonostante ciò si sente davvero solo, chiede spesso ai suoi figli se sono davvero felici, segno del bisogno che avverte ed ha un sogno nel cassetto: interpretare il ruolo di un uomo che vive pienamente l’amore.

Ecco forse la migliore definizione del vizio della lussuria: è effimera, evanescente, vuota, apparentemente impetuosa ma rapida a svanire, come il fuoco delle conifere che dà fiamma viva per poco tempo e poi si spegne prima di arrivare a scaldare; per la combustione si usa il legno di quercia, la cui fiamma arde tenue ma riscalda per molto tempo perché è più duro e massiccio.

Cedere alla lussuria equivale a rinunciare all’amore, a crogiolarsi nel piacere effimero momentaneo, a lasciarsi lusingare dall’apparenza, a cedere alle adulazioni, a riempirsi di nulla che svanisce rapidamente spalancando le porte alla delusione, alla inutilità, all’abisso; non è solo il contrappasso dantesco ma la naturale evoluzione di un percorso viziato: il finale secondo dell’opera mozartiana conclude l’epopea al lussurioso aprendogli le viscere della terra che canta chi l’anima mi lacera! chi m’agita le viscere! Che strazio, ohimè, che smania! Che inferno! Che terror!

Non vince la lussuria. E soprattutto non ripaga! È un vizio che arricchisce solo i trafficanti.

 

Roberto de Tilla: