La lezione conciliare di Francesco

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Secondo papa Francesco ripercorrere la storia del Concilio e soprattutto vivere il presente del Sinodo con il cuore aperto e libero, per riverberare in coloro che incontriamo la tenerezza di Dio e la sua prossimità a tutti, è il modo con cui impariamo a non scoraggiarci e ad abbandonare ogni tentazione di confidare in noi stessi, nella nostra bravura e nelle nostre strategie, per lasciare spazio a Lui. “Dal Concilio Ecumenico Vaticano II abbiamo ricevuto molto – sostiene papa Francesco-. Abbiamo approfondito, ad esempio, l’importanza del popolo di Dio, categoria centrale nei testi conciliari, richiamata ben centottantaquattro volte, che ci aiuta a comprendere il fatto che la Chiesa non è un’élite di sacerdoti e consacrati e che ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione”.

Nessuno potrà negare che la Chiesa cattolica di oggi non sarebbe la stessa, se non ci fosse stato il Vaticano II. Lukas Visher, autorevolissimo esponente della Chiesa luterana svizzera, arrivò a dire che, quanto era successo nel periodo conciliare, era paragonabile alla “rottura di una diga”. Basti ripensare a com’era la Chiesa cattolica prima del Concilio. Una Chiesa con una struttura quasi monarchica. Fondamentalmente clericale. Dominata, teologicamente e pastoralmente, dall’Europa. La Bibbia ancora tabù per il popolo cristiano. La Messa ancora solo in latino, e con il celebrante che voltava le spalle all’assemblea. Una religiosità ridotta ai precetti, alle regole, a una morale inquisitoria e per niente misericordiosa. Una netta chiusura alle altre Chiese, alle altre religioni. Un atteggiamento ancora improntato all’ostilità, se non alla condanna, nei confronti del mondo, della scienza, della cultura moderna.

Ebbene, dopo il Vaticano II, niente di tutto questo restò come prima. E non perché fosse stata stravolta la Tradizione o messi da parte i dogmi, le leggi; ma perché i padri conciliari avevano saputo leggere il Vangelo e la storia umana con occhi nuovi: un Vangelo naturalmente immutabile, intoccabile, ma da annunciare con un linguaggio adatto agli uomini contemporanei. Come ripeteva sempre Giovanni XXIII: “Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cambiamo e quindi siamo in grado di comprendere il Vangelo meglio e più a fondo di prima”. Cambiò l’immagine stessa di Chiesa, che la costituzione dottrinale “Lumen gentium” presentava ora come “sacramento universale di salvezza. Il popolo di Dio messo prima della gerarchia. L’autorità pontificia affiancata dal collegio episcopale. La parola di Dio ritrovò la sua centralità nella vita ecclesiale.

Ci fu la riforma liturgica. Venne riconosciuto il ruolo attivo dei laici, rivalutata la libertà di coscienza, cancellata la bimillenaria accusa di deicidio al popolo ebraico. E non solo questo, ma dallo “spirito” conciliare scaturiranno poi una lunga serie di novità. “Non si comprenderebbe il Concilio e nemmeno l’attuale percorso sinodale, se non si mettesse al centro di tutto l’evangelizzazione”, insegna Jorge Mario Bergoglio.