La legge numero 112 del 22 giugno 2016 denominata “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare” conosciuta anche come Dopo di Noi è composta da 10 articoli il cui obiettivo è quello di evitare la sanitarizzazione delle persone con disabilità più grave nel momento in cui vengono a mancare i parenti che li hanno accuditi e seguiti. Il termine mancare ha una duplice accezione in quanto indica sia il decesso ma anche il non essere più in grado di prestare assistenza per sopraggiunte difficoltà. L’obiettivo è quello di consentire alle persone con disabilità di continuare a vivere nelle proprie case oppure in case-famiglia o in strutture di cohousing.
La legge in questione intende dare risposte alle emergenze sociali, che potrebbero avere anche risvolti sanitari. L’importanza primaria è l’urgenza sociale, avvertita in primis dalle famiglie, la cui preoccupazione ricorrente, al limite di un’angoscia quotidiana, è riassumibile nella domanda sempre più presente incalzante con l’avanzare dell’età: che sarà di mio figlio/figlia quando non ci sarò più? Sono frasi che ho sentito spesso e ancora sento il vuoto dell’impotenza di chi pregava e prega di vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Ovviamente è stata la pressione delle famiglie, della società civile, delle molte associazioni, della sensibilità di alcuni deputati e senatori, delle molte persone coinvolte direttamente nella questione o semplicemente sensibili, attente e colpite dall’intensità del bisogno di interventi ad hoc. C’è voluto e ci vuole tempo per trovare un nuovo cammino, partendo dal riconoscere che le persone con disabilità non possono, dall’oggi al domani, quando giunge l’emergenza, essere collocate in una struttura sconosciute, in un ambiente del tutto nuovo, a volte anche lontano molti chilometri dalla propria casa e dal tessuto sociale dove hanno vissuto, dalla famiglia o da ciò che resta della stessa, veder spezzato il filo della loro vita: tutto ciò è avvenuto e forse avverrà ancora e ancora, il pensiero di ciò che può accadere, della possibilità che venga meno il percorso di vita costruito rimarranno nel cuore nell’anima di molte famiglie di persone con disabilità.
Oggi però, con la Legge 112, si sta cercando di dar vita ad un nuovo modo di intendere il Dopo di Noi. A questo punto non posso esimermi dal soffermarmi sul titolo dato alla legge. Quel “dopo” lo sento come un macigno. Perché “dopo”? È nel “durante” che bisogna agire per costruire il “dopo”. Ossia è fondamentale coadiuvare le persone con disabilità e le relative famiglie ad avere un proprio percorso di vita mediante la stesura di un progetto esistenziale. La legge in oggetto ha provato a pensare alla persona con disabilità non come destinataria passiva di un’attività di mera assistenza da erogare in qualsiasi struttura, ma il suo essere Persona che, come tutti, ha diritto continuare a tessere il suo filo di vita, il suo percorso, attraverso i giusti supporti e sostegni. Limitazioni, difficoltà, insufficienze nelle autonomie, impedimenti, intralci ambientali, potenzialità le capacità. Tutto va considerato nel portare avanti il Progetto di Vita dentro e fuori la famiglia, in micro e macro-comunità. All’interno di questo nuovo paradigma si capisce come occorra sopportare il percorso di vita delle persone con disabilità con le loro aspettative, necessità e relazioni nel corso della propria esistenza che non possono essere cancellate di colpo per il venir meno delle persone che si sono prese cura di loro.
A tal proposito mi permetto – indegnamente – di citare le bellissime parole di Papa Francesco pronunciate in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità il 3 dicembre 2020 che dovrebbero guidare ogni decisione in merito: “L’inclusione dovrebbe essere la «roccia» sulla quale costruire i programmi e le iniziative delle istituzioni civili perché nessuno, specialmente chi è più in difficoltà, rimanga escluso. La forza di una catena dipende dalla cura che viene data agli anelli più deboli”.