Il libro di Giorgio Merlo e Gian Franco Morgando sulla “Sinistra Sociale della DC (Forze Nuove)” dovrebbe stimolare i cattolici democratici impegnati in politica a sottolineare la grande attualità di alcune battaglie del più importante Ministero del Lavoro del dopoguerra anche perché alcuni giudizi giornalistici che tengono a darne una lettura anticomunista sono parziali e non aiutano a capire. Donat-Cattin, infatti, era anticomunista ma i suoi crucci principali erano il lavoro e la crescita economica. Giorgio Merlo ha ragione a dire che Carlo Donat-Cattin ha vissuto una stagione politica molto diversa ma alcune sue battaglie sono di una attualità assoluta.
Come sempre in vicende analoghe, alla scomparsa di Donat-Cattin i suoi amici si sono divisi, chi rimase nel Partito popolare e di lì poi arrivò al Pd, chi come Sandro Fontana, Ettore Bonalberti, sino al sottoscritto trovarono un riferimento nel moderati che aderirono all’appello di Silvio Berlusconi.
Iniziai a seguirlo attraverso le sue riviste nel 68 e in quell’anno, votando per la prima volta, diedi la preferenza a lui, a Bodrato e a Borra. Partecipai alla cena alla Sacra Famiglia che precedeva il comizio dei primi di Gennaio del 70 all’Alfieri dove Donat, come lo chiamavamo noi, commentava e leggeva l’Autunno Caldo che lui governò alla grande pur in mezzo a uno scontro sociale fortissimo e alle bombe di piazza Fontana. Da allora non mi persi più una sua intervista o un suo intervento. Ho avuto l’onore e il piacere di collaborare con lui. Sei anni che valgono un Master a Oxford.
Donat-Cattin, come ricorda il suo fedele autista Giuseppe, era assolutamente anticomunista, perché in quegli anni la evoluzione dell’Urss e la subalternità del Pci a Mosca erano totali. Ricordo che Napolitano nel 56 approvò l’intervento dei carri armati russi. Aveva però rapporti politici e umani ottimi con importanti Dirigenti del Pci :Barca, Chiaromonte, Macaluso . Aveva il mito della classe operaia perché era la classe allora più debole, di qui lo Statuto dei Lavoratori, ma le sue ossessioni, se vogliamo chiamarle così, erano il Lavoro e la crescita economica.
Di qui la sua contestazione alla linea rigorista e poco sviluppista di Emilio Colombo e di Guido Carli, di cui pure aveva grande stima. Ad ogni relazione del Governatore della Banca d’Italia insieme ai suoi professorini (Lizzeri, Nasi, Ammassari, Filippi, Zanetti, Gros-Pietro) preparava una contro relazione economica.
I suoi interventi per metà erano dedicati alla economia e alla necessità di innervare una politica economica che non si basasse più sui bassi salari come principale elemento di competitività. Per questi motivi scherzosamente definiva “Dorotei” alcuni amici del sindacato che secondo lui al tavolo di Palazzo Chigi avrebbero dovuto tenere più duro. Mi ricordo che alla inaugurazione del Salone dell’Auto del 70, a Torino Esposizioni, presente l’Avvocato Agnelli, tenne un discorso di 7 cartelle su una politica economica per l’Italia appunto dopo la stagione dei contratti. Ma aveva anche il coraggio di polemizzare con alcune richieste “esagerate” portate avanti da Carniti. Già a metà degli anni 70 voleva dare vita allo Statuto dell’Imoresa.
Sia al Ministero del Mezzogiorno che all’Industria il suo obiettivo era la “crescita”. Innovò tantissimo la politica industriale, fece un grande Piano Energetico, come ha ricordato recentemente Massimo Cacciari. A livello regionale sosteneva L’Iries che allora aveva un grande spessore e che studiò il piano delle tangenziali e delle autostrade piemontesi.
Si batté per salvare i posti di lavoro messi in discussione dalla pesante ristrutturazione del tessile e del chimico. Suo cruccio era il potere d’acquisto dei salari.
Capì prima di tanti altri che la decisione di Nixon del 15.8.1971, che pose fine alla parità Dollaro-oro , avrebbe avuto effetti negativi. Così come fu l’unico a contestare con un articolo sul Corriere l’accordo Agnelli-Lama sul punto unico della contingenza. In questi anni a Torino, Donat-Cattin non avrebbe lasciato solo Mons. Nosiglia nella denuncia della Città divisa in due e come si batté con forza contro il super partito, che dalla Dc arrivava anche al Pci, così si sarebbe battuto contro il sistema Torino.
Purtroppo la voce dei cattolici democratici nel Pd è diventata sempre più debole; gli ex comunisti che egemonizzano il Pd piemontese si sono imborghesiti e hanno preferito le cene con Evelina agli incontri con Nosiglia e la Caritas.
Ma Donat-Cattin vivo sarebbe stato in piazza alla manifestazione del novembre 2015 dei Vescovi piemontesi contro la povertà e la disoccupazione. Così come Donat-Cattin non sarebbe stato zitto di fronte al trasferimento della sede legale e fiscale della Fiat. Così come si batté, da solo, contro il trasferimento del Samia da Torino a Milano, lo avrebbe fatto contro lo spostamento delle migliori aziende torinesi e piemontesi e per salvare il Salone dell’automobile e della Tecnica. La lezione di Carlo Donat-Cattin sulla importanza della crescita economica come presupposto per la creazione di nuovi posti di lavoro di Torino e del Paese è del tutto intatta. Sta a chi gli ha voluto bene, a chi lo ha ascoltato e seguito, continuare oggi quella battaglia per il diritto più importante per l’uomo, il lavoro. Una lotta che a Torino e nel resto del Paese purtroppo portiamo avanti in pochi.