Mentre la nostra auto cerca di passare in mezzo al denso traffico del Cairo per raggiungere il Museo Egizio, il più importante museo del mondo, sono attratto dai mille colori di una città veramente affascinante. Said, la nostra guida, con grande professionalità ed entusiasmo, spiega la traduzione della parola Islam che solo oggi apprendo essere “pace”. Mi chiedo perché debbano essere diffuse tante notizie allarmanti per descrivere pericoli immaginari. Il Cairo si presenta ai miei occhi come una città molto sicura: ogni obiettivo sensibile è sorvegliato dalla Polizia che gentilmente ti invita a sottoporti ai controlli di sicurezza. A me, che per oltre trent’anni ho indossato l’uniforme, la cosa non dà affatto fastidio. Tutt’altro. Mi piacerebbe perdere, in Italia, una parte della mia libertá per godere di una maggiore sicurezza. I poliziotti ti accolgono con un sorriso e la parola “salam”. Il controllo viene effettuato solamente alle borse e agli zaini.
Ci avviciniamo al Museo e davanti a noi le tante moschee, alcune delle quali convivono serenamente con dirimpetto le nostre chiese cristiane. Penso ai crociati. Da bambino per farmi addormentare la mamma diceva: “Dormi, se no arriva l’uomo nero”. Un’altra mamma sulle sponde del Nilo avrà detto al suo piccolo: “Dormi, se no arriva l’uomo bianco”. Quante dominazioni hanno dovuto subire questi popoli, resi fratelli da un mare che anziché unirli per secoli li ha divisi. Mentre questi pensieri attraversano la mia mente Said ci richiama all’ordine e incomincia la sua dotta e affascinante dissertazione. Sulla facciata del Museo leggiamo in latino i nomi dei dominatori, altro breve controllo di polizia e davanti a noi si aprono secoli di storia, raccontati da statue e monili preziosi.
Quando si vuole magnificare qualcuno o qualcosa si aggiunge l’aggettivo faraonico. Un aggettivo più che giusto. Statue enormi di granito raccontano la gloria del Faraone, uomo dio per gli Egizi con potere di vita e di morte sui sudditi. Fino a ieri guardavo al Faraone come ad un sovrano cattivo. Said ci parla di principi e di re a cui l’Egitto deve la sua storia e la sua grandezza. Ci illustra alcuni pezzi tra i più importanti della vita degli antichi egizi. D’altra parte solo entrando nel Museo si può comprendere che una visita dovrebbe durare non ore ma giorni. Lentamente Said Ali Ibrahim ci fa avvicinare alla stanza più bella, quella del tesoro di Tutankamon: chili d’oro magistralmente scolpiti che si perdono in centinaia di oggetti di madre perla, avorio e pietre preziose, troni d’oro, letti e sdraio per il mare con le giunture d’oro. Oggetti che celebravano le gesta vittoriose del Faraone, invincibile condottiero, volti di uomini bellissimi e di donne che rimangono impressi nella mente e nell’anima. Said ci avvicina alle mummie, alcune ancora intatte. Mentre nugoli di cinesi si avvicinano e fotografano senza alcun rispetto i resti dei grandi d’Egitto, ripongo il mio telefonino perché mi sembra di mancare di rispetto ai grandi re. Vedo la grande feluca che trasportava il Faraone e i popoli assiepati lungo le sponde del Nilo che gli rendono omaggio. Questo Stato che ho studiato in tenera età e a cui collegavo parole come faraone, Nilo, limo, papiro, piramidi oggi è davanti a me in tutta la sua grandezza e credo che rappresenti un vero patrimonio per l’umanità. Said si congeda da noi con un Salam e leggo nel suo sorriso, velato di tristezza, un appello: voi che avete visitato l’Egitto tornate nella vostra Patria e raccontate quello che avete visto.
L’Egitto ha bisogno di turismo per sopravvivere e chi semina odio non è un fedele seguace dell’Islam. Quanto di più sbagliato nel motto: “Si vis pacem para bellum”. No, “Si vis pacem” rispetta l’altro, rispetta le sue tradizioni, leggi la sua storia, cerca di comprendere nelle mille pagine dei libri sacri il rispetto del creato e del Creatore, perché comunque sia il suo nome. Egli è il grande, il magnifico, l’onnipotente e l’eterno. Passeranno i secoli ma lui non passerà e che sia lui a donarci occhi limpidi che vincano le suggestioni del male.