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La saga dei sacchetti biodegradabili, atto II

A volte è difficile comprendere la passione del Belpaese per problemi che di primo acchito appaiono facilmente risolvibili dal buon senso comune. È stato pertanto necessario l’intervento del massimo organo della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato, per dirimere la questione dei sacchetti biodegradabili a pagamento per l’acquisto di frutta e verdura nei supermercati della grande distribuzione.

Dal 1° gennaio 2018, con grande ritardo, l’Italia ha recepito e reso vigente la direttiva europea 720 del 2015 che prevede l’utilizzo di buste biodegradabili nei reparti ortofrutticoli, con il fine ultimo di limitare l’inquinamento globale da plastica che sta soffocando mari ed oceani. Niente di strano dunque, se non fosse che il costo medio di 1 centesimo a busta ha scatenato l’indignata protesta delle associazioni di consumatori, che a sua volta si è riverberata sulle coscienze dei loro rappresentati costringendoli ad opporsi in tutti i modi più originali a quella che è stata definita anche “estorsione legalizzata”.

Per la verità, la maggior parte dei supermercati non ha cambiato le sue politiche commerciali ed ha continuato ad offrire le nuove buste – per frutta e verdura – gratuitamente ma, allo stesso modo, gli esercizi hanno continuato a farle pagare nel prezzo dei prodotti che andranno a contenere. Come avviene, d’altronde, per ogni tipologia di merce confezionata. Ormai tutti dovrebbero sapere che “così in natura nulla si crea e nulla si distrugge, così in economia nulla si crea e nulla si distrugge senza un costo, monetario e ambientale”.

Ora i giudici del Consiglio di Stato hanno sentenziato che “fermo restando il primario interesse alla tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti, è possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti, senza che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale facoltà né l’utilizzo di contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore; non può inoltre escludersi, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario”. 

È difficile trarre una qualche riflessione utile da una simile vicenda che pure sembra interessare l’opinione pubblica, o chi ne dirige il senso critico. Gli scaffali al dettaglio sono inondati di plastica che compone anche la più piccola confezione. Per non parlare di tutto ciò che non riguarda il settore di prodotti edibili. Nei rari Paesi dove le logiche economiche non sono riuscite a scalzare completamente il ragionamento politico e la sua autorità al servizio del bene comune, vigono da tempo legislazioni che impongono il carattere biodegradabile di tutti i tipi di confezionamento alimentare, con buona pace di produttori e consumatori. Tutto il corollario speculativo di casa nostra è pura fuffa dialettica.

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