“Da che punti guardi il mondo tutto dipende” diceva una canzone di qualche anno fa. Se la guardi dal punto di vista del lavoro, come massima dignità dell’uomo è come sostentamento della famiglia, allora in Italia il lavoro dovrebbe essere la più importante delle priorità. Eppure esso scarseggia, è precario, poco retribuito, inafferrabile. Se lo guardi dal punto di vista del politically correct allora il problema sono le parole d’ordine di alcuni dei partiti populisti. Per qualcuno, come Beppe Grillo, addirittura, l’obiettivo è la decrescita e la predicazione della povertà.
La presa di posizione di Mons. Nunzio Galantino apparsa sabato 21 gennaio sul Sole 24Ore cancella ogni equivoco almeno per i cattolici. Il Segretario generale della Cei parla di “Etica e crescita per combattere i populismi”. Io avrei detto :”Etica e crescita per dare dignità a tutti con il lavoro e per diminuire la miseria” ma mi basta ciò che ha detto il vescovo.
La crescita però presuppone competitività. Come abbiamo visto dalle tabelle dello studio del World Economic Forum di Davos l’Italia è agli ultimi posti per crescita e nei segmenti che determinano la competitività di ogni Paese. Siamo penultimi nel settore delle infrastrutture, che come ci hanno insegnato i romani sono lo strumento per portare lo sviluppo, e in quello dell’intermediazione finanziaria. E siamo terzultimi in quello dell’istruzione. Dalle risposte di 97 manager di aziende multinazionali che operano in Piemonte abbiamo saputo che le imprese estere non in investono in quella regione per tre motivi: carenza di infrastrutture, peso della burocrazia, tempi lunghi della giustizia.
Come è noto quasi i 3/4 del nostro Pil provengono dalla domanda interna, privata e pubblica, mentre 1/3 dal commercio internazionale, cioè le esportazioni. In questi anni l’unico settore che ha avuto segno positivo è stato quello dell’export mentre la domanda interna è calata e non accenna a salire. Senza l’aumento del lavoro e senza stanziamenti a favore delle pensioni minime o delle persone senza reddito, la domanda interna non crescerà e non darà impulso alla ripresa economica, cioè alla crescita.
Il populismo ha assunto una dimensione di massa portando alla vittoria Trump, la Brexit e il No al referendum costituzionale in Italia. La battaglia contro questo trend non si vince sconfiggendo Trump o la Le Pen, ma ridando speranza alla metà del Paese che ha pagato cara la crisi economica e gli errori madornali della politica della austerity inaugurata dal governo Monti.
Sappiamo che la globalizzazione, estendendo la crescita in ogni lontano Paese povero, porta alla crescita dello scambio delle merci e del turismo. Questi ultimi, tuttavia, dipendono dalle infrastrutture. Chi avrà i migliori porti, i migliori aeroporti, le migliori reti ferroviarie e autostradali, avrà più opportunità di crescita nella logistica e nel turismo, due settori ad alta intensità di lavoro.
Nel corso di un recente un incontro dell’Associazione “Dumse da fé” è emerso che per Torino è vitale il collegamento con la Francia e che senza la Tav il traffico merci continuerà ad andare su gomma aumentando l’inquinamento e la incidentalità stradale.
Senza la Tav l’economia piemontese, a partire dalla Val di Susa, sarebbe esclusa dal futuro economico che viaggerà, per ragioni ambientali e di sicurezza sempre di più su rotaia. La stessa cosa vale per il Terzo Valico, il tunnel che serve a migliorare il collegamento dei porti liguri con il Centro Sud europeo.
L’intervento di Mons. Galantino toglie i paraventi all’egoismo grillino della decrescita e dei No Tav, che non pensano mai ai disoccupati. Ma si rivolge anche a chi preferisce parlare di politically correct o di senso dello Stato dimenticando il precetto evangelico “ama il prossimo Tuo come Te stesso”. Senza interventi riguardanti quella metà del Paese che sta male non ci sarà mai una ripresa della domanda interna. Parole di verità su cui tutti dobbiamo riflettere.