“Il 67% della popolazione mondiale (5.200 miliardi) vive in Paesi in cui si verificano gravi violazioni della libertà religiosa”, ben “in 30 paesi delle persone sono state uccise in attacchi a sfondo religioso” e in 42 paesi “cambiare o rinunciare alla propria religione può avere gravi conseguenze a livello giuridico e/o sociale”. È quanto viene denunciato dal XV Rapporto sulla libertà religiosa, curato dalla fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), presentato in questi giorni e che prende in esame l’ultimo biennio (agosto 2018 – novembre 2020).
Allarma l’aumento della violazione della libertà religiosa
Confrontando le ultime due edizioni del Rapporto risulta, infatti, che al 2018 erano 38 i Paesi dove veniva violata la libertà religiosa, oggi invece sono diventati 62 di 196 Paesi totali. Quasi il doppio rispetto al precedente biennio. Dei 62 stati, 26 (3,9 miliardi di abitanti) sono inseriti nella “categoria rossa” che segnala un clima di persecuzione, mentre i restanti 36 (1,24 miliardi di abitanti) sono compresi in quella “arancione”, ossia dove sussiste la discriminazione a sfondo religioso. Inoltre, Acs sta attenzionando, come emerge dal documento, altri 24 paesi perché “sono stati osservati nuovi elementi che destano preoccupazione, in quanto potrebbero causare importanti peggioramenti nel rispetto della libertà religiosa”.
Africa e Asia più colpite dal fenomeno, ma non mancano alcuni paesi del Centro – America
Nella tabella delle categorie – presente nel Rapporto – tra gli stati in “rosso” troviamo: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Cina, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, India, Iran, Corea del Nord, Libia, Malesia, Maldive, Mali, Mozambico, Myanmar, Niger, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sri Lanka, Turkmenistan e Yemen. Mentre i paesi in “arancione” sono: Algeria, Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Cuba, Gibuti, Egitto, Etiopia, Indonesia, Iraq, Giordania, Kazakistan, Kuwait, Kirghizistan, Laos, Madagascar, Mauritania, Mauritius, Marocco, Nepal, Nicaragua, Oman, Palestina e Gaza, Qatar, Singapore, Sudan, Siria, Tagikistan, Tanzania, Thailandia, Tunisia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Uzbekistan, Venezuela, Vietnam. Infine, i 24 stati “sotto osservazione” sono: Repubblica Centrafricana, Gambia, Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Kenya, Liberia, Ruanda, Sudafrica, Sudan del Sud, Togo, Uganda, Cile, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Bhutan, Cambogia, Filippine, Israele, Libano, Bielorussia, Russia e Ucraina.
I tre i motivi del clima persecutorio o discriminatorio nei 62 paesi elencati
Tra i fattori scatenanti la violazione della libertà religiosa nel Rapporto è annoverata la presenza di governi autoritari o di movimenti di nazionalismo etno-religioso ed anche di estremismi di matrice islamica. Quest’ultimo suscita particolare preoccupazione perché, come scritto nella pubblicazione, “le reti jihadiste transnazionali si diffondono lungo l’Equatore e aspirano ad essere ‘califfati’ transcontinentali. Il cosiddetto Stato islamico e Al-Qaeda – si continua a leggere – con il patrocinio ideologico ed economico del Medio Oriente, stanno stabilendo “province del califfato” lungo l’Equatore, affiliandosi alle milizie armate locali e radicalizzandole”.
La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione
Difatti, in alcuni stati dove le minoranze religiose sono già oppresse, si è riscontrato un peggioramento dovuto alle “restrizioni sproporzionate sulla pratica religiosa e sul culto”, alla “negazione degli aiuti umanitari” o alla “stigmatizzazione dei gruppi religiosi accusati di diffondere il virus”.
Aiuto alla Chiesa che Soffre, dunque, con il suo biennale Rapporto ha acceso (motivatamente!) i riflettori anche quest’anno sulle persecuzioni e discriminazioni a danno dei cristiani e delle altre confessioni religiose nel mondo, perché di tale fenomeno talvolta non si ha la giusta percezione della gravità e del suo inasprimento nel tempo.